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Nel gruppo “amici di don Marco” in occasione del ferragosto era sorta un’interessante, quanto breve, discussione, circa la denominazione/origine di quella festività. La cosa in sé era abbastanza semplice, senza molte pretese teoriche. In realtà, non so se per caso, o per effetto del solito virus, la domanda nascondeva in sé questioni assolutamente non banali, emerse soprattutto in questa estate anomala.

Non che i problemi che vorrei approfondire non fossero già da tempo presenti; però, come abbiamo ripetuto a iosa, il virus li ha fatti emergere scandalosamente.

Queste riflessioni, che sono un approfondimento di quelle di qualche settimana fa sul senso cristiano del riposo sabbatico, vogliono essere una riflessione cristiana sulla ripresa dei contagi, che stiamo vivendo in questi giorni.

Per non lasciarci travolgere dalla dittatura del presente, invito a rileggere i dati epidemiologici e sanitari della seconda metà di giugno fin verso la metà di luglio. Senza il vaccino, tanto idolatrato, e senza alcuna svolta green della nostra società, il virus era perfettamente sotto controllo qui in Europa, in Italia soprattutto. Ricordiamoci che nei mesi di marzo ed aprile abbiamo saldamente primeggiato nel ranking dei paesi più colpiti dal Covid.

Altro dettaglio non irrilevante, nel bel mezzo della pandemia, quando si sarebbe dovuto pensare a ben altro, la nostra povera ministra dell’Istruzione il 18 aprile decise che l’anno scolastico era concluso e tutti potevano vivere felici e contenti, perché sarebbero stati promossi anche gli asini…

Dentro questo quadro sufficientemente contraddittorio, ecco giungere il Tempo Sacro delle Vacanze. Come avrete notato, forse è la prima volta che vedete queste parole scritte con l’iniziale maiuscola. La cosa è ovviamente intenzionale e vuole rimarcare la sacralità attribuita a questo rito laico. Dando per scontato il valore sacro del riposo sabbatico, così come ci è presentato nella Bibbia, con la terminologia di cui sopra intendo invece sottolineare la forza rituale, religiosa, che la nostra società attribuisce alle vacanze. In pratica, non si tratta più tanto di vivere un’altra dimensione della vita, quella appunto contemplativa e ricreativa, bensì di obbedire alla logica ed ai ritmi della società capitalista, nella sua versione consumistica. In altre parole, l’uomo ad una dimensione del capitalismo, che deve vendere la sua forza lavoro, per accrescere il valore monetario delle cose, deve anche consumare rigorosamente e freneticamente, durante il cosiddetto “tempo libero”, per far sì che la macchina consumistica non si fermi.

L’industria del turismo, nella quale l’Italia è leader, è uno specchio emblematico di questo ciclo di sfruttamento. Come mi sembra evidente, qui non si tratta di riposare, o meno; cosa questa veramente sacra. Nel nostro caso, invece, ciò che è in gioco è uno degli aspetti fondamentali del nostro capitalismo neoliberale. Infatti questo sistema socio-economico è riuscito a trasformare il sacro diritto al riposo sabbatico, in un colossale giro d’affari, basato sulla ricerca ossessiva della diversione e del divertimento. L’importante non è chiedersi: perché faccio quella vacanza, in quel determinato modo/ambiente. Anzi la domanda non deve proprio sorgere, perché altrimenti mi accorgerei che “quella vacanza” non è fondamentalmente diversa da mille altre già fatte. Ciò che è cambiato è solo la diversione ed il divertimento, diabolicamente pensati per non lasciarci pensare, riflettere, per non lasciarci riprendere criticamente l’ordinario delle nostre giornate produttive.

E’ dentro questa logica, divenuta sistema, che la gran parte di noi soffre letteralmente, se non può raccontare agli amici ed ai colleghi l’originalità delle sue vacanze, ovvero quale distrazione e quale divertimento ha occupato il suo tempo libero.

Dentro questo meccanismo compulsivo, quanto oppressivo, nonostante le molte settimane passate senza lavorare e studiare, suonata la campanella delle vacanze, liberi tutti, o quasi, alla faccia di tutte le normative, rimaste formalmente in vigore. E così si è fatto generalmente finta di niente, stando a vedere come sarebbe andata a finire, perché ai dogmi non si può disobbedire. Nonostante fosse evidente la contraddizione, abbiamo fatto le più incredibili contorsioni, per permettere ai nostri giovani ed ai nostri vitelloni, non più giovani, di divertirsi.

In una società libera, fatta di uomini e donne liberi, non avremmo avuto problemi nel riconoscere che il virus ci aveva già permesso di vivere un tempo sabbatico molto più grande delle nostre attese. Quindi sarebbe stato naturale, riprendere le attività lavorative e scolastiche, in accordo con il controllo della pandemia. Questo approccio, libero e responsabile, avrebbe avuto il duplice effetto di farci riprendere i ritmi normali del vivere ed, al tempo stesso, mettere a punto i vari equilibri per poter convivere con la presenza del virus.

Invece, soprattutto a livello scolastico, dopo questo tempo di ferie sproporzionate, ci ritroviamo alla vigilia del nuovo anno scolastico con le stesse domande del giugno scorso.

Tutto ciò è stato reso possibile dall’industria della diversione e del divertimento, che, appropriandosi del bisogno sacro al riposo ed alla rigenerazione creativa, ne ha fatto invece motivo di evasione e fuga dalle domande fondamentali della vita. Questa parte del nostro sistema produttivo, l’industria del divertimento appunto, è fondamentale al sistema, per non far venire a galla il carattere alienante della nostra vita sociale ed economica e non fare i conti con il nostro essere per la morte, con tutto ciò che questo comporta.

Soprattutto a questo livello, neanche il virus sembra essere stato capace d’inchiodarci a prendere coscienza della verità di noi stessi e della società in cui viviamo.

Pe. Marco