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Forse questo titolo a qualcuno avrà rievocato il famoso scritto di Hans Jonas del 1979, ma io non intendo soffermarmi ad analizzare quel tipo di responsabilità.

In realtà questa riflessione nasce dalla meditazione sulle due tipologie umane, presentate da Gesù nella parabola del pubblicano e del fariseo al Tempio di Lc 18,9-14.

Per la prima volta ho notato un dettaglio estremamente
decisivo. Gesù ci dice che il fariseo nella sua preghiera “porta con sé” i suoi fratelli, ma non per pregare per loro, bensì per stabilire dei termini di paragone con loro. In questo modo ne esce a suo modo vincitore, perché lui, grazie a dio, ha qualcosa da presentare al Signore: la sua superiorità religiosa sulla base dei criteri che lui stesso ha stabilito.

Non vi è chi non veda che questo è il principio di ogni orgoglio e di ogni conflitto, perché ogni individuo può usare gli stessi criteri nei confronti degli altri e tutti ne uscirebbero … vincitori, ovvero migliori deli altri, superiori e “meritevoli” della “dovuta” ricompensa divina.
Invece il pubblicano, indipendentemente dal suo peccato, si mette solo davanti al Signore; non cerca pretesti, né sotterfugi: è semplicemente nudo davanti a JHWH.

Da questa posizione, la più autentica che un uomo, o una donna, possa assumere, il pubblicano, ovvero qualsiasi essere umano, non può che vedersi per quello che è: un essere assolutamente fragile, peccatore, che solo può essere salvato dalla Sua Misericordia.
E’ evidente che questo tipo di umanità, ovvero noi quando ci mettiamo in questa situazione, oltre ad essere autentici con noi stessi, possiamo esserlo ancor di più con gli altri, riconoscendoci umani nella nostra comune fragilità morale e spirituale.
Al tempo stesso questo atteggiamento, che ai più potrebbe apparire come venato di pessimismo, in realtà è l’unico che ci rende pienamente umani.

Infatti, se la Libertà è la caratteristica umana che ci rende “immagine e somiglianza di JHWH”, come c’insegnava il card Ravasi quando eravamo in Seminario; ebbene se la Libertà costituisce l’umanità in quanto tale, la Responsabilità è la forma più alta di esercizio della Libertà. Per ovvi motivi non mi soffermerò a smontare la famosa
definizione della Libertà come “possibilità di fare ciò che si vuole”.

Infatti, non ha senso volere e perseguire la propria autodistruzione.
Invece la Responsabilità è la capacità di rispondere, ovvero di rendere conto di una scelta, o di una decisione.

Eppure, pur essendo obbligati a re-spondere dalla nostra natura creata libera dal Signore, la nostra fragilità e inconsistenza ha inventato il “si” impersonale, il “si dice” in tutte le sue declinazioni possibili ed immaginabili.

È il famoso si dice dell’uomo inautentico di Heidegger, o i
quaquaraquà di Leonardo Sciascia; è l’umano abbruttito, ormai reso incapace di re-spondere di sé stesso e delle proprie azione. Per questo motivo, come il fariseo, si nasconde dentro la folla dei suoi simili.
In questo stato è impensabile di poter accedere ad una qualsiasi forma di spiritualità e di avanzamento del proprio io. Si è vittima di tre grandi distorsioni dell’autenticità: la chiacchiera, la curiosità, l’equivoco.

Nella chiacchiera il linguaggio perde la sua caratteristica più autentica di mirare al raggiungimento di una verità, avvolgendosi su se stesso: è il parlare fine a se stesso, ciò che conta non è il valore del discorso, ma la sua diffusione e la sua ripetizione. Le cose stanno così perché così si dice.
Per curiosità invece si intende la morbosità del vedere, il fascino per l’apparire portato all’estremo, fino a rendere l’aspetto e l’estetica l’unica fonte di interesse. A questo genere di “curiosità” si accompagna tipicamente l’incapacità di soffermarsi sulle cose e di approfondirle, l’irrequietezza che ne deriva è l’inevitabile frutto.

L’equivoco è presentato altrimenti come la somma della chiacchiera e della curiosità: è quell’illusione per cui, nella dimensione del Si, tutto sembra già essere stato compreso e a nostra disposizione, quando invece si tratta solamente di false verità fondate su nulla di più che abitudine e comodità.
A tale riguardo vorrei far notare una caratteristica, che sta crescendo ogni giorno e mi pare emblematica del rafforzarsi di questa umanità inautentica.

È la tendenza crescente a non rispondere, quando si tratta di dare una risposta negativa, o comunque difforme alle attese dei nostri interlocutori.

Questa caratteristica mi aveva colpito, perché è molto spiccata nel popolo  brasiliano, anche per ragioni storiche ben precise.

Purtroppo, ritornando in Italia, sto soffrendo terribilmente nel fare i conti quotidianamente con questa attitudine dei molti quaquaraquà presenti tra di noi.

La questione è ancor più inquietante, quando la persona interessata potrebbe cavarsela con qualsiasi pretesto, che la libererebbe dall’incombenza in questione. Eppure, neanche in questi casi, le persone sanno ri-spondere, sanno render conto di ciò pensano e ciò che vogliono.
Preferiscono nascondersi dietro uno squallido silenzio.
Chiaramente queste ombre umane, che ci circondano, non possono far altro che produrre chiacchiere, quando sono costrette a parlare.

Ma la chiacchiera non è altro che un altro modo di non ri-spondere, di non rendere conto, perché ciò che si dice nella chiacchiera non è altro che un mero flatus vocis, un puro tintinnio di suoni vocali, dei quali le ombre umane non rendono mai conto.

Per questo motivo le chiacchiere dicono tutto e smentiscono tutto non appena finiscono di dire qualcosa. Né più, né meno, come nel triste teatrino dei nostri politicanti nostrani.
Eppure guai a noi, se puntassimo il dito contro di loro. Se è vero quanto ho detto pocanzi, questi umani inautentici non sono altro che il frutto maturo delle folle inautentiche che ci circondano.
Certamente il povero pubblicano avrebbe molto da insegnarci, per aiutarci a recuperare la nostra umanità più vera.

Pe. Marco