I testi biblici di questa domenica, pur essendo nati in contesti storico-culturali estremamente diversi ed indipendenti gli uni dagli altri, sono però stati messi insieme per rievocare in noi il tema del Messia veniente; quindi dovrebbero farci rivivere la gioia per questa bella notizia.

Come sempre, quando si rievocano questi temi generali ed universali, si rischia di cadere nell’ovvietà di ripetere ciò che tutti i praticanti sanno, fin da quando succhiavamo il latte materno…

In questo scenario, estremamente pericoloso, mi concentrerò brevemente sui fugaci versetti della seconda lettura: estremamente pregnanti, ma bisognosi di una contestualizzazione più generale all’interno della teologia della Lettera agli Ebrei.

Non potendo proporre questa inquadratura più generale, partirei dal versetto che l’autore ha messo sulle labbra del Cristo: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.

Questo versetto, tratto dal Sal 39, vuole esprimere la fede della comunità di Ebrei, che nelle sue celebrazioni proclamava in questo modo la sua comprensione del mistero di Cristo. Ovviamente non avrebbe molto senso perdere tempo per parlare di ciò che non possiamo conoscere, ovvero come il Verbo incarnato, il Figlio di Dio, obbediva al Padre.

Invece è molto più interessante ed importante riflettere su come l’uomo Gesù di Nazareth ha inteso questa obbedienza, perché è esattamente questa obbedienza che ci salva. In altre parole, se e solo se obbediremo al Padre in e come Gesù di Nazareth entreremo nel Regno di Dio, consegneremo le nostre vite alla sovranità del Padre, lasceremo che il Padre regni nelle nostre vite. In altre parole questa è la Liberazione che attendevamo.

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Da qui deriva l’antica tradizione spirituale, che attraverso figure spirituali del calibro di S. Ignazio di Loyola e Charles de Foucault è arrivata fino a noi, quella di “meditare sulla vita di Gesù”. Lungi da qualsiasi fondamentalismo, questo profilo spirituale, in realtà, è la sintesi di una grande intuizione teologica: nella concreta vicenda storica di Gesù si compie, si realizza, la volontà del Padre. Come dicevo, non si tratta di ripetere meccanicamente e astoricamente le condizioni storico-culturali, in cui si è trovato a vivere Gesù. Invece, come ben c’insegna S. Ignazio, si tratta di apprendere l’arte del discernimento; ovvero, quella capacità di ricollegare continuamente le nostre concrete situazioni di vita a quelle vissute da Gesù, per evincerne i criteri, i valori ed il metodo, che hanno guidato le sue scelte concrete.

Certamente, se per questo Natale chiedessimo per noi e per la Chiesa questo dono spirituale, avremmo più che soddisfatto ai nostri doveri cristiani. Infatti, questa prospettiva spirituale, se da un lato ci libererebbe dalle angosce tradizionaliste, di ripetere “sic et simpliciter” ciò che è passato; dall’altro ci salverebbe dalla deriva post esistenzialista del fare ciascuno ciò che vuole nel campo della fede e della morale. Purtroppo va anche detto che, secoli di moralismo precettistico e di obbedienza acritica alle autorità ecclesiastiche hanno reso più che indigesti i temi dell’obbedienza e della volontà di Dio.

Ecco allora che quest’antica tradizione spirituale può aiutarci a cogliere l’importanza dei versetti della Lettera agli Ebrei di questa domenica. Infatti, i pochi versetti che accompagnano quello già citato già ci mettono in guardia dagli errori madornali, che, invece, non abbiamo saputo evitare lungo la secolare storia della Chiesa. “Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato” sottolineava la Comunità di Ebrei, quasi duemila anni fa. Eppure, pur senza metterlo in pratica, molti cattolici ancora ritengono che, per fare fino in fondo la volontà di Dio, si dovrebbero fare rinunce e sacrifici da offrire a Lui. In altre parole permane l’idea che a Dio si debba comunque offrire qualcosa, pagare un prezzo, per conquistarcelo, perché Lui sia benevolo con noi. E così anche noi possiamo vivere in pace.

In questa prospettiva, che è sostanzialmente quella di tutte le religioni umane, manca la consapevolezza dell’importanza della nostra libertà nel determinare le sorti della nostra vita e della vita del mondo. Certamente c’è un sacrificio da compiere ed è quello di non cadere nell’inganno di pensarci autonomi ed autosufficienti da Lui, il Signore. Questa è stata la grande seduzione del serpente, fin da Adamo ed Eva, e questa è l’origine di tutti i mali dell’umanità: il pensarci dio a noi stessi, il voler decidere della propria vita, senza fare i conti con il Signore della Vita.
Ecco, invece, che Gesù, pienamente obbediente al Padre, ci mostra la possibilità di vivere la nostra vita in perfetta sintonia con Colui che ci ha donato la Vita. Come ben ci mostrano i Vangeli, Gesù non è un burattino nella mani di un Padre-padrone, che determina meccanicamente ogni sua scelta ed ogni sua parola. Gesù obbedisce al Padre aderendo radicalmente ai valori del suo Regno, ai grandi principi, che regolano la vita del Regno ed a questi consacra totalmente la Sua vita.
Ma questa è anche la nostra vocazione ed il senso della nostra vita. A noi dunque decidere del nostro destino.

Pe. Marco