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Con l’arrivo dell’ennesima Quaresima, rieccoci a parlare e riflettere sul tema della conversione, benché questo sia uno dei temi cristiani più in declino.

Certamente a livello culturale non ha più alcuna rilevanza. Però anche tra i cosiddetti credenti, o meglio dire praticanti, non è certamente una delle preoccupazioni dominanti. Eppure, come sappiamo, la predicazione di Gesù ruotava attorno al famoso annuncio: “Il tempo è compiuto ed il Regno di Dio si è fatto prossimo.
Convertitevi e credete al Vangelo” Mc 1,15.

Dunque, al di là dei nostri gusti religiosi e psicologici,
pare che senza conversione non c’è speranza di entrare nel Regno. 

Il perché di questa decadenza e di questa disaffezione può essere oggetto di lunghe e sofisticate indagini, che in questo spazio non avrebbero molto senso.

Più modestamente vorrei approfondire l’analisi impietosa, quanto profonda, che il profeta Isaia fa di quella che forse è la radice dei problemi, quando si tratta di conversione.
Il profeta contrappone una serie di pratiche penitenziali (vestire di sacco, sdraiarsi nella cenere, digiunare) a una gamma di atteggiamenti e comportamenti da cambiare (spezzare le catene del giogo, rimandare liberi gli oppressi, dividere il pane con l’affamato, ospitare in casa chi ne è privo ecc…), che hanno come orizzonte la pratica del Diritto e della Giustizia. Sapendo che la Giustizia biblica è il vivere le relazioni con la realtà e con gli altri in accordo con la volontà di Dio, ecco allora che la conversione biblica è essenzialmente un ripristinare quelle relazioni armoniche e fraterne, che il nostro peccato, a vari livelli, continua ad infrangere ed alterare.
Ma esattamente qui sta il problema. Infatti questo lavorio spirituale di continua ricerca del progetto di Dio dentro la nostra quotidianità non è facile, né immediato. Innanzitutto richiede una profonda umiltà, per essere disposti a vivere la Vita come ricerca continua, perché nella nostra condizione umana è impossibile considerarci degli arrivati, delle persone a posto, che fanno sempre e solo la cosa giusta. Questa precarietà continua, esistenziale, è aggravata dal fatto che, anche quando c’impegniamo a fondo, non è raro il caso di prendere degli abbagli nelle nostre scelte. Ecco perché l’attitudine e la disponibilità alla conversione è inerente, fa parte dell’essere
cristiani.

Diversamente…

Diversamente possiamo ritornare a vivere la religiosità pagana, tipica di gran parte dell’umanità.
Questa religiosità è fondata sulla logica del sacrificio.

Il che vuol dire che l’essere umano porta in sé la percezione della sua fallibilità, del suo peccato. Per questo motivo, senza sapere bene in che cosa sbagli, comunque offre dei sacrifici alla divinità; gli offre ciò che gli costa, nella speranza che lei, la divinità, si plachi e non scateni la sua ira su di lui.
Da questa situazione nasce quell’attitudine, che ritroviamo nell’umano citato da Isaia, ma, ahimè, anche nella maggioranza dei cristiani.

Per questo motivo, con estrema facilità, la gran parte di noi
inventa qualche penitenza per la Quaresima; dove però l’accento è sul sacrificio, sul quanto mi costi e non, invece, su quale aspetto della Libertà voglio correggere.

Infatti, se offro a Dio qualche sacrificio, o qualche penitenza, alla fine della Quaresima posso dire a me stesso: “Eh beh, almeno questo sono riuscito a farlo.

In fondo non sono così scadente spiritualmente!”.
Invece, intervenire sulla Libertà per correggere il suo egoismo innato e piegarlo alle leggi della fraternità, beh questo lavoro spirituale è molto meno gratificante per il nostro orgoglio, benché sia molto più fruttuoso per l’intera umanità.

Ecco allora l’importanza di fare i conti con le tentazioni di Gesù nel deserto, perché Lui ha vissuto e superato ciò che noi difficilmente riusciamo a riconoscere e superare in noi.
Innanzitutto la tentazione di vivere con “l’ossessione del pane”, ovvero che ci possa mancare il necessario per vivere; così che, condizionati da questa paura, distorciamo tutta la nostra Vita e non ci preoccupiamo invece dell’unica, vera necessità: l’abbandono nelle mani del Padre e della sua Parola.
Secondariamente la tentazione di non fidarci del Padre e la necessità di esigere da Lui continue “prove d’Amore”. Quando, invece, come in tutti gli amori veri, si tratta di lasciarci amare e saper riconoscere l’Amore che l’Altro ha per noi.
Infine, la tentazione del Potere, ovvero il credere che quando le cose sono nelle nostre mani, vanno meglio; se possiamo decidere noi, allora tutto cambia. Mentre gli altri, in un modo o nell’altro, sbagliano sempre.
Che il Signore Gesù ci aiuti a riconoscere e correggere le sue tentazioni in noi, piuttosto che ricercare sofisticati, quanto inutili sacrifici da offrirgli.

Pe. Marco