vangelo-secondo-matteo

Nell’iniziare questa riflessione non mi soffermerò più di tanto nel confrontare Gesù con la figura del Battista, perché le questioni principali sono state accennate nella riflessione di settimana scorsa. Vorrei invece dedicare una prima attenzione alla domanda rivolta dal Battista a Gesù. Ancora una volta gli evangelisti, nella loro semplicità, smontano la nostra visione molto magica e miracolistica della persona di Gesù. Infatti, il suo venire al mondo non è stato caratterizzato da vicende magiche ed eccezionali, come di solito noi ci raffiguriamo il divino. Invece, la sua vicenda è stata così umana, troppo umana mi vien da dire, che noi facciamo fatica ad accettarla. Né più, né meno, come hanno fatto fatica i suoi contemporanei. In ogni caso, è dentro la vicenda umanissima di Gesù, che il Battista cerca di capire se è effettivamente Lui il Messia atteso.

Ecco che ancora una volta il testo biblico c’invita a cercare Gesù nella concretezza delle vicende della vita, piuttosto che in esperienze pseudomistiche, o in eventi straordinari.
Altrettanto interessante e provocante è la risposta di Gesù, quando è interpellato dai discepoli di Giovanni. Gesù non risponde con una serie di affermazioni teologiche, o morali, né con grandi dissertazioni filosofiche, per dimostrare che Lui è il Messia. Semplicemente risponde rimandando ad una serie di gesti e comportamenti liberanti: questi sono il segno inequivocabile che in Lui è presente la “forza” del Padre. Questi segni e questo stile di vita a servizio della Liberazione dell’umanità sono il segnale evidente della Sua messianicità. Ma, al tempo stesso, questa azione liberatrice rivela l’unico e vero volto del Padre. Il resto, o è elemento accessorio, o è rivestimento astratto ed ideologico.
Ecco allora che il Popolo messianico non è quello composto da coloro che vivono patetici sentimentalismi, o esibiscono violentemente i simboli natalizi. Il Popolo messianico, ahimè sempre più disperso e frammentato, è l’insieme di coloro che cercano ed aspettano Gesù nelle più disparate situazioni di povertà, perché lì Lui è presente e ci attende.
Certamente questa semplicissima ed evidente verità sferza drammaticamente le nostre comunità cristiane, troppo preoccupate nel commemorare un evento del passato, per paura di mettersi in gioco come comunità nell’andare incontro a Gesù vivo e presente in mezzo a noi.

Indubbiamente nei giorni delle festività natalizie assisteremo al solito ripetersi di gesti estemporanei di solidarietà, anche e soprattutto da parte di chi, in un modo o nell’altro, si riconosce nella Chiesa Cattolica. Ovviamente, ogni gesto di bontà, per piccolo ed isolato che sia, è e rimane una piccola goccia collocata nel grande mare del bene fatto su questa Terra.
Eppure, chi si riconosce esplicitamente come discepolo di Gesù di Nazareth non può non avvertire come insufficiente, per non dire contradditorio, questo procedere in ordine sparso.

Innanzitutto perché la Liberazione dalle varie forme di povertà e schiavitù, per poter essere efficace, richiede necessariamente un’azione sociale e politica; ovvero ha bisogno di strutturarsi ed organizzarsi a dei livelli, cha vanno al di là del gesto isolato ed estemporaneo. Esattamente a questo livello sociale e politico emerge l’importanza fondamentale della Chiesa, della Comunità cristiana, Corpo di Cristo nella storia, che sola può avviare e sostenere percorsi stabili e duraturi di Liberazione.

Invece, esattamente a questo livello ecclesiale, siamo decisamente in affanno. Certo, anch’io vedo le numerose entità d’ispirazione cristiana, a cominciare dalla Caritas, che nonostante tutto cercano di portare avanti il lavoro suddetto. Però dobbiamo costatare tristemente che molte di queste persone, normalmente, non partecipano dell’Eucaristia; ed, al tempo stesso, coloro che partecipano dell’Eucaristia non riconoscono Gesù nelle situazioni accompagnate da queste entità.
Sarà un fatto provvidenziale, o una mera casualità, che, mentre stavo scrivendo queste righe, abbia ricevuto un messaggio come quello che segue, guarda a caso da un’assidua frequentatrice delle nostre celebrazioni: “Il solo nominare quella idiota di Carola e company mi fa andare in bestia quindi quei famosi giornalisti che parlano di lei che la esaltano mi fanno vomitare…” e vi risparmio il resto del messaggio per pudore. Come qualcuno avrà già capito, questa reazione virulenta era semplicemente la risposta al link di “Che tempo che fa”, che ho fatto girare.
A me spiace ritornare continuamente su questo tipo di esempi. Eppure, se lo faccio, non è per il gusto della polemica fine a sé stessa. No. La posta in gioco è ben più grave e ben più profonda ed è direttamente proporzionale all’ostinazione, con la quale nelle nostre comunità cristiane non si vogliono mettere a tema queste contraddizioni. Addirittura in una riunione di decanato sono stato redarguito ed invitato a soprassedere su questo problema, perché “la Chiesa ha sempre convissuto con queste contraddizioni”. In quella stessa riunione si suggeriva di ricordare a tutti i nostri fedeli che “siamo tutti battezzati in Cristo”, senza ovviamente approfondire troppo di quale cristo stiamo parlando…
Per questo motivo la Chiesa, Corpo di Cristo, non può non preoccuparsi di stare dove sta la sua testa, Gesù; viceversa ci troveremmo di fronte ad un corpo gravemente malato; in quanto tale irrilevante per l’umanità.

P.e Marco