imagesCome ormai tutti sanno, anche gli agnostici più incalliti, per la Chiesa uno dei frutti, o forse il frutto più significativo della pandemia, è stato quello di aver sollevato il velo che copriva le celebrazioni cattoliche. Si sa che, quando si fa questo tipo di operazioni, non sempre si sa cosa che cosa si può trovare sotto il velo…Ed in effetti così è stato anche nei riguardi delle nostre celebrazioni.

Vorrei subito precisare che queste fugaci riflessioni riguarderanno solo il panorama italiano, perché sarebbe troppo complesso e riduttivo, ad un tempo, spaziare sulla Chiesa universale.

A questo riguardo, vorrei partire dall’ennesima lamentazione cattolica di questi giorni e riguarda il fatto che gran parte delle parrocchie sta constatando un ritorno molto soft alla Messa da parte dei fedeli.

Personalmente faccio molta fatica a capire dove stia il problema.
Infatti questa frustrazione sarebbe comprensibile, se prima del lockdown avessimo avuto frequenze oceaniche.

Se invece andiamo oltre il dato emozionale, tutte le indagini statistiche ci dicono che la frequenza media degli italiani si aggirava attorno al 15% della popolazione.

In realtà, con grande disinvoltura, abbiamo seguito i soliti falsi profeti, che vedevano una svolta epocale nei milioni di fedeli inchiodati alle celebrazioni online, mentre si vedevano costretti a gestire le paura della morte dentro le quattro mura domestiche. In uno degli scritti di quei giorni sollevavo i miei forti dubbi circa le conversioni nate dalla paura, oltretutto quando non si aveva nient’altro da fare.

Ma la questione è ben più profonda di questo semplice “strabismo religioso” e, secondo me, è apparsa chiarissimamente ancora prima del lockdown. Infatti, come tutti ricorderanno, ben prima del lockdown tutte le Celebrazioni Eucaristiche sono state sospese dalla mattina alla sera, senza colpo ferire.

La Chiesa, di fatto, ha rinunciato all’evento che la fonda e la sostiene, senza che qualcuno tentasse una mediazione, o un passaggio graduale alla chiusura totale. Non dedicherò neanche una virgola a discutere sul problema del rapporto con il potere civile, perché è decisamente secondario per me. Il problema è totalmente nostro, interno alla Chiesa intesa nel suo insieme come Popolo di Dio.

Queste mie osservazioni critiche, adesso come allora, non vogliono suggerire una qualche forma di resistenza ideologica nei riguardi dello Stato. La realtà invece è che, se l’Eucaristia fosse stata realmente “la fonte ed il culmine” della vita dei cattolici, perlomeno ci sarebbe dovuto essere qualche dibattito e qualche confronto, per tentare di elaborare protocolli intermedi prima di arrivare alla chiusura totale; né più, né meno come sono stati fatti per molte altre attività, dove gli interessati si sono messi in gioco, per difendere i loro interessi.

La stessa cosa dicasi per la fase della riapertura. Anzi, in quella circostanza ci fu quel tentativo positivo dei Vescovi italiani di mettere in discussione certe scelte dello Stato. Emblematicamente, però, proprio all’interno del mondo ecclesiale si scatenarono le più feroci critiche nei riguardi dei nostri poveri Vescovi, che improvvisamente si erano ricordati che tra i loro carismi c’è anche quello della profezia.

Se a ciò aggiungiamo il fatto che il target di coloro che frequentano regolarmente la Messa è composto da bambini e da adulti/anziani, il calo della frequenza è la conseguenza più logica che potesse esserci.

Ma tutto ciò, per me, è solo una Grazia, perché ha sollevato brutalmente il velo sulle molteplici contraddizioni del nostro celebrare.

Certamente la pandemia ha svelato in modo impietoso la deriva profonda in cui è caduta la liturgia cattolica, durante il secondo millennio: l’aver ridotto anche il Memoriale della Pasqua ad un qualsiasi rito religioso, realizzato dai sacerdoti di turno, volto ad attirare le benedizioni divine su coloro che vi assistono. Stando così le cose, che bisogno c’era della presenza del popolo? Il sacerdote poteva compiere i suoi riti magici in un qualsiasi locale della parrocchia, o della diocesi, ed i benefici sarebbero stati puntualmente consegnati sul divano di casa, quasi con la stessa efficienza di Amazon… Forse da casa non si assisteva al rito con il religioso silenzio delle chiese, ma sappiamo che la grazia a buon prezzo, come direbbe Bonhoeffer, può facilmente sopperire a questi peccati veniali!

Di fronte a tanto svuotamento del Memoriale pasquale, era inevitabile che la sua sospensione non fosse avvertita come un dramma epocale per i cattolici. Altro che Eucaristia “fonte e culmine della vita della Chiesa”! In realtà, la deriva sopra citata ci ha lasciati tutti orfani del dono principale della nostra Fede, molto prima della pandemia. A questo riguardo, se avessimo avuto coscienza di questa deriva, sarebbe stato molto più coerente ed efficace non celebrare in alcun modo, fintanto che non si potesse riunire di nuovo il Corpo di Cristo nella sua totalità.

La dimensione eucaristica della Chiesa rimanda alla sua intrinseca natura comunitaria. La Chiesa è il Corpo di Cristo, che si rende storicamente presente nella comunità dei suoi discepoli, riunita nel Suo nome.

Nella Celebrazione Eucaristica questo Corpo si riunisce per essere alimentato e guidato dal suo Capo e Fondatore, Gesù di Nazareth. Il momento eucaristico è un momento simbolico sacramentale, nel quale si rende visibile ciò che quotidianamente siamo costretti a vivere nella dispersione dei nostri impegni quotidiani. Da qui deriva l’insuperabilità del ritrovarsi e del nutrirsi comunitariamente dell’unico Signore. Viceversa, quando ciò è impossibile, allora non c’è Celebrazione Eucaristica e ciò deve essere detto dal non celebrare. La storia del prete che celebra da solo per la sua comunità non può che portare alle derive di cui sopra.

Ecco dunque che la piaga del virus, in realtà, non ha fatto altro che portare alla luce il grosso deficit comunitario del nostro celebrare e della nostra fede cristiana in generale.

Va detto, però, che questo sconvolgimento improvviso non ha solo rivelato questi aspetti negativi. Infatti, contemporaneamente allo smascheramento dello svuotamento dell’Eucaristia, ha obbligato a prendere coscienza che l’Eucaristia è il fondamento della Chiesa, ma non è il tutto della vita della Chiesa, soprattutto a livello celebrativo. Infatti, la vita della Chiesa ha sempre conosciuto una vastissima gamma di riti e celebrazioni, nelle quali oltretutto non è richiesta la presenza di un ministro ordinato. Se questa dimensione è un’ovvietà nelle Chiese del Sud del mondo, nella nostra realtà italiana è stata praticamente annientata lungo i secoli da una progressiva banalizzazione dell’Eucaristia, ridotta ad una coperta adatta per tutte le circostanze.

A questo livello, certamente, il non poter celebrare, ci ha costretti a prendere coscienza del valore del celebrare e del riunirsi non eucaristico. L’auspicio è che tutta questa ricchezza non vada perduta con il ritorno al messificio precedente al COVID.

Pe. Marco