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Come avrete già capito, per questa riflessione ho collocato questo titolo portoghese, perché ha fatto il giro del mondo in questi giorni.

Si tratta di un articolo scritto da Hélio Schwartsman, una delle più prestigiose firme del quotidiano “Folha de São Paulo”, il più prestigioso del Brasile ed il più venduto in America Latina.

Letteralmente il titolo significa: Perché faccio il tifo, affinché Bolsonaro muoia ed è legato alla notizia della malattia del presidente Bolsonaro, anche lui colpito dal COVID19. Evidentemente una scelta così radicale, come quella di questo giornalista, benché interpreti il desiderio di milioni di brasiliani, non poteva che suscitare scalpore e reazioni a catena. Per questo motivo, il giorno successivo, la testata ha ritenuto opportuno esprimere la sua posizione ufficiale. Certamente, se estrapoliamo questo titolo dal suo testo e dal suo contesto, non possiamo che riprovarlo decisamente alla luce dei principali valori evangelici.
Eppure, come dice il giornalista fin dalle prime battute dell’articolo, questo desiderio non nasce da nessun risentimento personale, o da un desiderio di vendetta. In realtà, il desiderio nasce da un dilemma etico ben più profondo. Semplificando molto il contenuto dell’articolo, il giornalista vede nel negazionismo di Bolsonaro la causa di molte morti per il COVID19, anche a livello mondiale. Pertanto, il suo morire a causa del virus da lui negato, sarebbe un monito nazionale e mondiale sull’intera questione e salverebbe la vita di possibili morti future.

Al di là dei dettagli morali legati alla specificità del virus, è evidente che il dilemma posto dal giornalista è ben più profondo. Pur con tutta una serie di distinguo e di precisazioni, che sarebbe opportuno allegare, mi pare che ci troviamo di fronte ad una antica questione etica, che accompagna l’umanità fin dai suoi albori: di fronte agli effetti devastanti di un potere ingiusto ed oppressore, che cosa è bene fare? Qual è il male minore, o il bene maggiore possibile?

Senza voler passare in rassegna le soluzioni più significative del problema, mi limiterò a citare la famosa sentenza di S. Tommaso d’Aquino:

“Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non è possibile il ricorso ad una istanza superiore, costituisce una lode per colui che uccide il tiranno”.

Prima di ogni altra considerazione, mi sembra importante sottolineare come la questione posta dal giornalista/filosofo brasiliano ha attraversato anche la storia della Chiesa, per di più ai suoi massimi livelli, vista l’importanza di S. Tommaso per la teologia cristiana.
In un contesto monarchico ed imperiale, qual era il Medioevo, l’applicazione della sentenza era relativamente più semplice rispetto ai nostri giorni. Infatti, se il potere è concentrato nelle mani di una sola persona e questa viene riconosciuta come palesemente ingiusta e oppressiva, ecco che l’ambito della decisione morale rimane molto più semplice e limitato.

Purtroppo nelle nostre società avanzate e complesse, anche questo tipo di discernimento è divenuto molto più complesso e nebuloso. In particolare il punto più ambiguo per noi moderni è quello relativo alla possibilità del voto elettorale. Normalmente, da qualche decennio a questa parte, quando si evidenziano i caratteri profondamente dittatoriali delle democrazie post moderne, ogni obiezione s’infrange di fronte al solito adagio: se un governante, o un partito, sono stati eletti con un voto, allora è sempre legittimo. Tutt’al più basta non eleggerlo alle elezioni successive.

Questa affermazione, formalmente ineccepibile, crolla miseramente quando la caliamo nella nostra realtà. Infatti, basterebbe approfondire la parabola politica dei principali despoti del momento: Trump, Bolsonaro, Xi Jinping ed Erdogan per riconoscere come, attraverso la mera formalità elettorale, difficilmente possono essere sconfitti. Oltre al fatto che, nel frattempo, alle vittime delle loro strategie di potere non verrà offerta una seconda chance in questa vita.

Un altro dettaglio dovrebbe risvegliare la nostra attenzione ed è un fatto che costatiamo quotidianamente. Noi tutti ci siamo trovati a constatare come anche i nostri regimi apparentemente democratici, attraverso la formalità della libertà di voto, sono di fatto il terreno fecondo dei più terribili dittatori, o demagoghi. Mentre, invece, come ci diciamo ripetutamente, le persone oneste e competenti difficilmente riescono a farsi eleggere. Anche quando vengono tollerate da questo sistema perverso, lo sono esattamente perché fungono da richiamo per attirare il voto delle persone oneste.
Questo dettaglio probabilmente, forse ben più della possibilità o meno di votare, dovrebbe far sorgere il sospetto che ormai il rito delle elezioni è solo un paravento, per tentare di nascondere il fatto che anche le democrazie occidentali sono diventate delle sofisticate plutocrazie.

A questo riguardo ritengo di estrema importanza far emergere a tutti i livelli possibili la radicale differenza che esiste tra la democrazia e la libertà assoluta alla proprietà privata. Infatti, anche nell’ambito delle scienze economiche, si è creduto per circa 250 anni che democrazia e liberismo economico fosse un binomio ovvio e inscindibile. Attualmente invece, a livello scientifico, è stato abbondantemente dimostrato come i due fattori sono inversamente proporzionali. O meglio, se è vero che la democrazia matura contempla anche una certa libertà economica; non è vero invece il contrario. Ovvero, quanto più deregolamentiamo l’iniziativa economica, questa tende ad azzerare gli spazi democratici.

Purtroppo, questa verità abbondantemente dimostrata a livello scientifico, basti ricordare la voluminosa produzione del prof. Piketty, non è però diventata senso comune a livello di coscienza popolare. Così le masse, nell’illusione di poter vivere in una società più libera, preferiscono concedere la massima libertà economica ai loro oppressori.
Certamente non sarà facile smantellare di questo grande inganno nella coscienza comune delle masse; eppure è il primo passo per poter affrontare questo problema.
Ancora una volta e per tornare alla questione posta dal nostro titolo, soprattutto noi cristiani, dobbiamo stare molto attenti ad estrapolare una frase, o una situazione, dal loro contesto, per metterle astrattamente a confronto con qualche valore evangelico; nel nostro caso quello della salvaguardia della vita fisica. Purtroppo la realtà è sempre molto più complessa e ramificata, così come le risposte del Vangelo a tali situazioni. In questo caso, forse più che in altre situazioni, risulta decisivo identificare chi sono le vittime e guardare l’intera questione dal loro punto di vista.

Pe. Marco