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Oggi, dunque, siamo chiamati ad onorare tutti i Santi: del Cielo? Della Terra? Quali Santi? O meglio chi sono e quanti sono i Santi? Ecco allora che, forse, la Chiesa, più che voler puntar l’attenzione sulle singole persone e sui loro cammini di santità, vuole invece farci sostare e riflettere sulla Santità in quanto tale, quale componente, o addirittura sinonimo dell’essere cristiani. In altre parole, forse, parafrasando il famoso detto di Benedetto Croce, “perché non possiamo non fare i conti con la Santità”. D’altro canto la citazione delle Beatitudini, per parlare della Santità, mi sembra emblematica, quanto provocante; infatti, la domanda radicale, che non possiamo eludere, è: ma le Beatitudini sono per tutti o solo “per i Santi”, come falsamente sostiene una distorta spiritualità “cattolica”?
A questo riguardo, forse, sarebbe stato più proficuo se come prima lettura avessero collocato qualche testo del Pentateuco, che ci avrebbe aiutato a cogliere le radici di questo tema. Infatti, la radice ebraica della parola “santità” rimanda all’idea di separazione, della distinzione. Di fatto, per l’ebreo, il Signore è Santo, perché totalmente altro, separato dal peccato. In questo senso “in Lui non c’è peccato”.

 

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Conseguentemente, il Popolo di Dio diviene santo nella misura in cui si emancipa, rompe, in un processo di Liberazione continua, da tutte le forme di oppressione e schiavitù, siano esse personali, o sociali. Quindi per l’ebreo la Santità non è una condizione, o uno status, che può essere definito con giri di parole oziose, quanto insignificanti. Per lui la Santità è invece un processo continuo, con alterne vicende, in cui il Popolo è chiamato a distanziarsi, a rompere, innanzitutto a livello interiore, spirituale, con le strutture di oppressione, di peccato, del faraone di turno, per poter vivere nello “Shalom”, nella Pace messianica.

In questo senso, mi sembra molto inquietante sentire ancora meditazioni interminabili sui Santi e la loro Santità, che confondono la contemplazione con il sonno, frutto del carattere soporifero, quanto irrilevante di tali riflessioni. Ovvero, il grande pericolo è il perdere di vista che, contemplare i Santi, significa innanzitutto ricordarci delle loro lotte per essere fedeli al Vangelo; il loro impegno “per essere fedeli a Dio, prima che agli uomini”; tenendo sempre presente che questa lotta spirituale è per tutti coloro che, in virtù del Battesimo, “si onorano del nome cristiano”.

Purtroppo, però, non credo sia un fatto isolato quello successo a me in questi giorni, sentendo una riflessione di un confratello su queste tematiche. In particolare mi pare sia stato significativo, anche se probabilmente non intenzionale, il fatto che si sia dilungato al quanto sulle Beatitudini senza mai citare la prima: “Beati i poveri nello Spirito”; mentre invece si è dilungato alquanto “sui miti, sui puri di cuore, sui misericordiosi”. Peccato che Francesco, quello già santo, diceva che “Non è possibile entrare nel Vangelo, senza passare per la porta stretta di madama Povertà”. Non a caso tutti i più importanti esegeti mettono in luce il carattere programmatico di questa prima Beatitudine, al punto che, qualcuno osa dire che le altre non sono che l’esplicitazione e la declinazione della prima.

Infatti questa versione di Matteo, più che quella di Luca, mette in luce il carattere tipicamente cristiano della Povertà; da non confondersi con la miseria, bensì intesa come scelta libera di rinunciare il più possibile alle sicurezze economiche e mondane, per fondare la propria sicurezza e la propria vita esclusivamente sull’unica ricchezza, sull’unico tesoro.

Ma esattamente a questo livello, a mio avviso, sta tutta la debolezza del nostro cristianesimo occidentale, più preoccupato di edulcorare, di anestetizzare la forza rivoluzionaria di questa Beatitudine, che non aiutarci reciprocamente a viverla per esser poi, liberi e forti, per vivere le altre. Mi pare alquanto evidente che, finché non ci educheremo a fare questo primo passo, ad assumere questo distacco totale da ogni sicurezza mondana, per appoggiarci, solo ed esclusivamente, sul Signore Risorto, è chiaro, dicevo, che, ad ogni passaggio successivo, ad ogni Beatitudine, avremo la sensazione “di perdere qualcosa”, di dover rinunciare a qualcosa di essenziale. In tal modo, inevitabilmente, il Vangelo, più che buona notizia, che ci offre un di più e un meglio, ci sembrerà sempre un elenco di rinunce, che, forse, “ci faranno andare in Cielo”, ma che ci impediscono di vivere e approfittare del bello della vita.

Ora io mi chiedo, come può una cultura ed un’intera civiltà, costruita su questa scissione della coscienza collettiva, come può avere ancora un futuro davanti a sé? Come non vedere in questa “schizofrenia profonda” del cattolicesimo occidentale la radice di tanti malesseri e tanti disturbi psicofisici che ci tormentano?

Ben venga allora la Santità, non percorso elitario per pochi eroi, bensì cammino di vera Libertà per tutti.

 

don Marco