Nuove-nomine-del-vescovo-Claudio-tra-i-tanti-preti-anche-una-donna_articleimageIn questi giorni è stato pubblicato un documento della Congregazione per il clero dal titolo estremamente accattivante “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” e, se dovessimo stare al titolo, ci sono tutti gli ingredienti per farne un documento significativo: conversione, parrocchia, servizio, evangelizzazione e Chiesa.

In effetti, pur non introducendo nessuna novità teologica, o giuridica, certamente, rispetto alla maggioranza dei documenti vaticani, ha il pregio di sdoganare senza mezzi termini aspetti ancora sconosciuti per la nostra pastorale italiana.

Innanzitutto meritano una sottolineatura queste due citazioni di Papa Francesco, riportate dal Documento: “1… cercare strade nuove», ossia «cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato»; a tal proposito, ha concluso il Santo Padre, «la Chiesa, anche il Codice di Diritto Canonico ci dà tante, tante possibilità, tanta libertà per cercare queste cose” e “3 Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita.

Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare “. Da sole sarebbero bastate per elaborare un documento, magari un po’ più essenziale.

Infatti, il testo, muovendosi da queste ispirazioni, cerca di far emergere le principali possibilità offerte dal Diritto canonico e dalla prassi liturgica, per far sì che la parrocchia possa avere più il volto di una orchestra, che non quello di una monarchia, più o meno assoluta o costituzionale…

Dopo aver passato in rassegna tutte le principali soluzioni giuridiche adottate per la suddivisione delle diocesi, arrivando alla dimensione parrocchiale il documento esplicita ciò che da decenni era già previsto del Diritto canonico, ovvero che l’amministrazione di una parrocchia può essere affidata non solo ad un sacerdote, bensì anche ad un dicono permanente, ad una persona consacrata e, udite, udite, anche a dei laici opportunamente selezionati e crogiolati…

Seguendo sempre lo stesso andamento, ovvero più come concessioni dovute alla palese necessità, che non per evidenza intrinseca della fede cristiana, tra le righe si accenna alla possibilità di concedere anche ai laici di amministrare i battesimi, di presiedere le esequie e di assistere ai matrimoni.

Infine, si fa una rassegna dei vari organismi di partecipazione ecclesiale, insistendo sul solito stucchevole paternalismo ecclesiastico, che, da un lato presuppone una comunione fraterna totalmente irreale, dall’altro non s’intacca minimamente la rigida struttura clericale di questi organismi. Infatti, sul presupposto che i cosiddetti praticanti “siano un cuor solo ed un’anima sola”, un parroco, o un vescovo, può ancora fare e disfare come vuole, mentre può accogliere a sua discrezione i suggerimenti del consiglio, che sovrintende. Ciò, ovviamente, perché il Battesimo non ci rende tutti fratelli e sorelle in Cristo!

Queste osservazioni critiche possono servirci da incipit per una valutazione complessiva del documento, che non posso analizzare dettagliatamente in questo contesto.

Ripeto l’intenzionalità complessiva è certamente buona, perlomeno per quello che si può evincere dai paragrafi iniziali e dai titoli degli stessi, che molto spesso richiamano parole d’ordine dell’attuale pontificato; pertanto lasciano presagire uno sguardo in avanti, rivolto al futuro, alla ricerca di nuove forme d’incarnazione del Vangelo.

Quando però si va ad analizzare il testo più nei dettagli, non si può fare a meno di porsi alcune domande.

La prima che mi venne immediatamente in mente fu come mai un documento di questa portata sul rinnovamento della parrocchia sia stato chiesto/formulato dalla Congregazione per il clero. E’ forse la parrocchia una prerogativa (proprietà?) del clero? Dunque il clericalismo non solo non è morto, ma non lo si vuole neanche intaccare!

Ma forse c’è un altro tipo di problemi in gioco. A voler ben guardare il taglio dato al documento, fortemente legalista e liturgico, sarebbe stato più logico se fosse stato redatto dalla Congregazione per il culto divino ed i sacramenti.

Ma ve lo vedete il Card. Sarah a sottoscrivere le aperture sopramenzionate, che pure sono da tempo magistero ordinario della Chiesa? Probabilmente il povero Papa Francesco ha dovuto fare di necessità virtù…

Sta di fatto che al di là di queste ed altre illazioni che si possono sollevare, il testo risulta eccessivamente prolisso e legalista ad un tempo, con la solita ossessiva preoccupazione di inserire delle embrionali aperture dentro la nostra mastodontica tradizione, perché le eventuali svolte evangeliche non vengano divulgate come abiura della Fede.

In particolare, mi pare di cogliere tra le righe il timore che passi l’idea che in qualche modo si stia esautorando il santo clero. Infatti, se andiamo ad analizzare la struttura argomentativa dei veri capitoli e paragrafi, si può notare un procedere che, se da un lato si avvicina con circospezione al cuore delle novità, quando queste vengono formulate, subito ci si premura d’indicarle come soluzioni emergenziali, di ripiego, per evitare danni peggiori.

Alla fin fine le aperture possono solo assurgere al rango di male minore. Non sia mai che vengano viste come un nuovo e, forse più evangelico, modo di strutturare la Chiesa. A mo’ di esempio mi permetto di riportare il paragrafo 96 del Documento.

 

“In tale senso, innanzitutto, è responsabilità del Vescovo diocesano e, per quanto gli compete, del parroco, che gli incarichi dei diaconi, dei consacrati e dei laici, che hanno ruoli di responsabilità in parrocchia, non siano designati con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili[141], riservate dal diritto ai sacerdoti[142], in quanto hanno diretta attinenza con il profilo ministeriale dei presbiteri.

Nei confronti dei suddetti fedeli e dei diaconi, risultano parimenti illegittime e non conformi alla loro identità vocazionale, espressioni come «affidare la cura pastorale di una parrocchia», «presiedere la comunità parrocchiale», e altre similari, che si riferiscono alla peculiarità del ministero sacerdotale, che compete al parroco.

Più appropriata sembra essere, ad esempio, la denominazione di “diacono cooperatore” e, per i consacrati e i laici, di “coordinatore di.. (un settore della pastorale)”, di “cooperatore pastorale”, di “assistente pastorale” e di “incaricato di.. (un settore della pastorale)”.

Della serie “nomen omen” ed l’improrogabile rinnovamento può attendere…

 

Pe. Marco