
Esattamente in questi giorni mi è capitato un fatterello, ahimè non molto raro, per questo motivo emblematico per questa nostra Giornata missionaria ambrosiana…Eh sì, perché il resto del mondo l’ha già celebrata domenica scorsa.
Mi trovavo in mezzo ad un gruppetto di bravi uomini dell’oratorio, per consumare il rituale aperitivo. Parlando del più e del meno, qualcuno ha accennato alle Messe di mezzanotte del Natale. Dopo una rapida carrellata, per attestare “che anche loro non sono più quelle di una volta, quando bisognava arrivare in Chiesa un’ora prima per sperare di trovare una sedia libera”, improvvisamente qualcuno ha lanciato il solito sasso: “Per forza, con tutte queste moschee, ormai ci si preoccupa più con i mussulmani, che con i cristiani”. Qualcuno forse rimarrà allibito per l’irrazionalità dell’affermazione, ma vi assicuro, che la bagarre è iniziata proprio così. Non vi dico cosa è uscito, quando io e qualcuno dei presenti abbiamo osato mettere in dubbio la razionalità dell’affermazione. Qualcuno addirittura voleva collegare le chiese vuote con le difficoltà a costruire la chiese nei paesi mussulmani. Faccio notare, che di questi baluardi della fede cattolica solo un paio frequenta regolarmente la Chiesa. La maggioranza, quando va bene, la si vede alla Messa di mezzanotte…
Di fronte a questo scenario, per niente raro nelle nostre parrocchie, recuperare la dimensione missionaria della Fede cristiana è quanto mai urgente; perché ormai non possiamo più eludere la domanda inquietante: chi deve essere evangelizzato nelle nostre terre? Perché?
Eppure, per le nostre Comunità che si dicono cristiane, l’annuncio del Vangelo continua ad essere cosa da specialisti, cosa da congregazioni missionarie.
Invece per il cattolico comune, sia egli prete o laico, la preoccupazione ossessiva è inventare giochi di prestigio, o rispolverare sacre tradizioni, per intrattenere e trattenere quei pochi, disorientati, che frequentano le nostre chiese. Come sottolineava acutamente don Severino Dianich in una riflessione di qualche settimana fa, il termine chiave della nostra Chiesa è “pastorale”, che rimanda simbolicamente al pastore, che deve raccogliere e difendere il gregge da tutto ciò che lo minaccia.
Ora, se è vero che il simbolo del pastore e della pastoralità appartengono al Vangelo, questo è solo una dimensione in vista della finalità ultima, di ciò per cui la Chiesa esiste: la testimonianza del Vangelo.
Ebbene, esattamente ciò che è essenziale, ciò per cui Gesù fondò la Chiesa, da secoli è sparito, o si è radicalmente affievolito nella coscienza del cattolico comune. Certamente qualcuno mi farà notare le schiere di missionari nati dalla Chiesa; ma esattamente loro testimoniano, che per la coscienza comune ecclesiale “questa cosa” riguarda alcuni, magari eccellenti, dentro la Chiesa. Quindi la missionarietà è importante, ma è una dimensione tra le tante presenti nella Chiesa.
Ma esattamente questa piccola differenza ha favorito il generarsi della situazione in cui ci troviamo. Se chiedessimo brutalmente ai battezzati “perché tu sei cristiano?”, solo una minoranza irrisoria ci risponderebbe “per annunciare il Vangelo”; fermo restando la necessità di chiarire cosa significhi “annunciare/testimoniare il Vangelo”.
Eppure, lo studio dei Vangeli, le ultime parole del Cristo Risorto Mt 28,16-20, Evangelii Nuntiandi, Evangelii Gaudium, solo per citare i riferimenti principali, sono inequivocabili su questo punto: Gesù ha fondato la Chiesa, perché in Lei e con Lei continuasse la missione, che Lui ha ricevuto dal Padre.
In Gesù la comunione fraterna della Trinità diventa accessibile, diventa forma di vita, per l’intera umanità. Ma questa forma di vita trinitaria ha dei principi e delle condizioni, non nasce spontanea nel cuore egoista dell’uomo/donna. Questo è il Vangelo.
Chi incontra realmente, non ideologicamente, Gesù di Nazareth vive la gioia di questa Vita Nuova, di questa Vita alternativa all’egoismo dell’uomo naturale, pagano. Da qui la necessità intrinseca, spontanea, naturale del cristiano, di condividere questo dono, questa scoperta, che è la vita al modo di Gesù di Nazareth, perché vita piena e abbondante.
Purtroppo sto costatando, che il luogo comune secondo il quale “i laici non sono preparati; i laici non capiscono le esigenze imposte dal cambiamento d’epoca”, ebbene questo luogo comune è realmente tale. Infatti, osservando l’avvicendarsi di ruoli e responsabili nelle Comunità cristiane, vedo un cambiamento frenetico di dettagli esteriori, senza mai porre le domande più radicali e pericolose: si cambiano gli orari delle Messe senza riflettere sul senso della Celebrazione eucaristica; si aumentano gli atti di culto, senza verificare la loro relazione con la vita comunitaria; ci si preoccupa di presidiare tutti i gruppi parrocchiali più per anestetizzare ogni inquietudine, che per sostenere la coraggiosa ricerca di nuovi cammini di sequela al Signore Gesù.
Tutto ciò è possibile esattamente perché la dimensione missionaria, non essendo essenziale ad ogni nostro agire ecclesiale, viene rimandata regolarmente a un dopo indefinito, ad un tempo in cui i laici saranno maturi, ovvero alle mitiche calende greche, o se volete alla Parusia…
Confesso, che questa mancanza di consapevolezza tra l’essenziale cristiano e le nostre pratiche religiose mi riempie di profondo sconforto e impotenza. Va detto però, che in questo scenario si può capire, perché quegli uomini si rifugiavano in un pretesto irrazionale, per spiegare la chiesa semivuota nella Messa di Natale…
Pe. Marco
