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Le letture di questa domenica vogliono aiutarci a meditare sul tema del tempio all’interno della Bibbia. Forse si poteva fare qualche scelta diversa riguardo ai testi, ma, come si suole dire, questo è quanto passa il convento…

La prima lettura ci presenta una delle versioni delle celebrazioni d’inaugurazione/benedizione del Tempio di Gerusalemme, quando Salomone inaugura quella maestosa struttura, progettata da suo padre, Davide. Certamente, come recita il v. 13 “Il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura. Ho voluto costruirti una casa eccelsa, un luogo per la tua dimora in eterno”, quel Tempio doveva essere l’espressione simbolica dell’incontro tra il Signore, che abita nei cieli, che è irraggiungibile, e il Popolo d’Israele, che Lui si è scelto tra tutti i popoli e lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto. D’altro canto, però, lo studio attento della Bibbia rivela anche che questo simbolo doveva essere il coronamento della svolta monarchica, che il popolo aveva imposto a Samuele.

Fino ad allora Israele celebrava le sue liturgie nei vari santuari, sparsi su tutto il territorio liberato, ed espressioni memoriali della conquista della Terra Promessa. Questo fatto, però, impediva al re di esercitare pienamente il suo potere, perché, in una struttura teocratica come era Israele, la classe sacerdotale aveva un prestigio ed un’influenza indubitabili. Se poi i sacerdoti sono sparsi su tutto il territorio, non sempre si può controllare ciò che dicono e ciò che fanno.

Centralizzando il culto in Gerusalemme, oltretutto accanto al palazzo reale, non vi è chi non veda come in questo modo si possa meglio realizzare quell’alleanza tra il trono e l’altare, cara a tutti gli uomini di potere, non esclusa la dinastia davidica. Inoltre, tutto “l’indotto commerciale”, legato agli animali ed agli altri prodotti da offrire in sacrificio, era un’ottima fonte di rendita per le casse reali, oltre che per i sacerdoti del Tempio.

È per questo motivo, che tutta la tradizione profetica è sempre stata molto critica verso il Tempio di Gerusalemme e la religiosità ad esso legata. Al tempo stesso ha aiutato a mantenere vive le varie forme di religiosità più popolari e legate alla struttura familiare.

Gesù s’inserisce in questa lunga ed antica tradizione del profetismo biblico e lo porta a pieno compimento. Certamente Gesù non rifiuta il Tempio “in toto”; ovvero gli riconosce qualche valenza, come è attestato dalla vicenda citata dal Vangelo di oggi e da altri momenti citati dai Vangeli.

D’altro canto risulta chiaro dai Vangeli, soprattutto dai Sinottici, che la fede e la spiritualità di Gesù non è fondata sulla cosiddetta “religiosità del Tempio”. Siccome Gesù va al cuore di tutte le questioni, nel bene e del male, e questo cuore è la libertà umana, ecco che Lui supera definitivamente tutta la concezione veterotestamentaria del puro e dell’impuro e dei conseguenti sacrifici, per compiere continuamente i riti di purificazione. La purità o meno, la santità o meno, degli uomini e delle donne, dipende solo ed esclusivamente dalla loro adesione/risposta alla Parola, che li illumina e li interpella continuamente. In questa interazione tra la Libertà umana e la Parola di Dio si gioca la santità e la peccaminosità umana.

In questa prospettiva possiamo allora intendere il senso del v. 6,16 “Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente” e del v. 7,1“purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione, nel timore di Dio”, così come di interi capitoli della Lettera agli Ebrei. Ovvero, per Gesù il vero e definitivo tempio, dove abita il suo Spirito e dove si realizza la nostra santificazione, è il nostro cuore, la nostra libertà. Quindi, se è vero che non possiamo parlare nel cristianesimo di un’abolizione dei templi di muro, è altrettanto vero che questi non sono più fondamentali e centrali per la nostra fede. L’edificio in muratura ha senso se messo radicalmente al servizio, in funzione dell’incontro dei fratelli tra di loro e con il Signore Risorto. Altre valenze di tipo più artistico ed architettoniche, pur con tutte le giustificazioni, spirituali e teologiche ad esse legate, rispondono più ad esigenze umane, non sempre e non del tutto nobili, più che a richieste della Parola di Dio.

Detto ciò e senza voler indulgere ad inutili polemiche, resta il fatto che, oggi più che mai, anche grazie alla possibilità di una lettura popolare ed universale della Parola di Dio, possiamo e dobbiamo, se vogliamo essere fedeli al Signore Gesù, far crescere questa consapevolezza in modo diffuso nell’intero Popolo di Dio. In questo modo potremo spostare l’attenzione dell’intera comunità cristiana dalla cura e dalla preoccupazione per le sue strutture di culto, alla cura per “il tempio di Dio, che è ciascuno di noi”. Questa attenzione e questo sforzo ridarebbe alla Chiesa una significanza, che oggi, purtroppo, è sempre più oscurata. Infatti, nella misura i cui ogni cristiano avesse cura della qualità della sua vita evangelica, consapevole di essere il tempio di Dio in mezzo alla gente, ciò, inevitabilmente renderebbe le nostre esistenze testimonianze vive del Signore Gesù. Al tempo stesso, togliendo questo compito alla magnificenza dei nostri edifici sacri, taglieremmo alla radice le inveterate critiche all’ideologica della “ricchezza della Chiesa”.

 

don Marco