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Camminando con Don Marco

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Cinquant’anni senza Pasolini

Posted on 29 Ottobre 202529 Ottobre 2025 By admin Nessun commento su Cinquant’anni senza Pasolini
Pier Paolo PasoliniSono passati cinquant’anni dal 2 novembre 1975. Quella notte Pier Paolo Pasolini fu trovato morto sulla spiaggia di Ostia: un corpo, molte ferite, tante domande senza risposta. Quella violenza sembrava quasi la brutale materializzazione delle contraddizioni che per tutta la vita aveva abitato. Mezzo secolo dopo il suo spirito, la sua parola inquieta ancora camminano tra noi.

Pasolini visse nell’Italia del boom economico, della contestazione sessantottina; l’Italia che cominciava a sperimentare l’accumulo produzione-consumo (l’«uomo a una dimensione» di cui parlò Marcuse, il filosofo padre della contestazione). Ma era anche l’Italia di don Milani e padre Turoldo, e anche dei papi veneti del Concilio, Giovanni XXIII e poi Giovanni Paolo I, i papi degli umili. Fu questa l’Italia di Pasolini.

«L’usignolo della Chiesa Cattolica»

Si definiva «l’usignolo della Chiesa Cattolica» (così intitolò nel 1958 una sua raccolta di poesie), però non fu un credente nel senso dottrinale: la sua appartenenza religiosa fu essenzialmente una nostalgia, un’«attrazione per Cristo».

Come Simone Weil, la sua fede era interrogata dalle esperienze del nulla: la sofferenza, l’ingiustizia, il silenzio di Dio. per questo era una fede tormentata, vissuta da Pasolini come un “tormento”: il bisogno di verità, di giustizia, di riannodare fili di umanità che la società del benessere voleva (se ne accorse tra i primissimi) dissolvere.

Pasolini e il Vangelo

Uno dei punti più alti di questa tensione si raggiunge nel film Il Vangelo secondo Matteo (1964). L’usignolo-contestatore della Chiesa istituzione volle girare un film fedelissimo al testo di Matteo: senza aggiunte, senza interpretazioni edificanti, senza abbellimenti sentimentali.Pasolini, il Vangelo | Messaggero di Sant'Antonio

Vedeva in Gesù non tanto un’icona di devozione, ma un annunciatore radicale: predicazione, opposizione, solidarietà con i poveri, denuncia dell’ipocrisia dei potenti. In Pasolini il Cristo è figura-limite, esempio — non dogma. La povertà reale e sociale incarna la beatitudine, e l’invito evangelico diventa domanda concreta di giustizia.

Come direbbe Dietrich Bonhoeffer, la “Chiesa confessante” ha a che fare con chi sta ai margini: Pasolini, con la sua vicinanza al sottoproletariato, con la empatia verso i perdenti e gli emarginati, viveva quella confessione fuori dai recinti ecclesiastici, ma nel cuore del Vangelo. Qui alzava il ponte — imperfetto, conflittuale — tra il cristianesimo della misericordia, della Parola, della passione morale, e la sua cultura critica, politica, sempre attenta a denunciare lo sfruttamento, l’alienazione.

«Amo ferocemente, disperatamente la vita…»

C’è una frase di Pasolini che è come un respiro crudo: «Amo ferocemente, disperatamente la vita…». In quel disperatamente risuona una frattura, una protesta: il poeta ama ciò che il mondo tradisce e lo grida, ce lo sbatte in faccia.

Pasolini ci sfida a non cedere nella disperazione, a non accontentarci di una religiosità che sia consolazione sterile, né di una politica che si dimentichi del corpo, del volto, del dolore.

Pasolini esercitava la sua profezia politica dal “Corriere della sera”, il giornale “borghese” per eccellenza: io, studente del liceo, aspettavo con ansia i suoi editoriali e mi divoravo quelle colonne piombate. Intuivo la forza di un pensiero alternativo, originale, implacabile contro l’arricchimento materiale, la società dei consumi, che andavano cancellando (questo mi diceva) la dignità dell’umile, la memoria delle generazioni, il respiro lento del tempo.

Pasolini oggi: la memoria che interroga

Cinquant’anni dopo l’impoverimento, la mercificazione, l’emarginazione, la disuguaglianza culturale non sono storie risolte, al contrario. Pasolini ci ricorda che il Vangelo del Regno di Dio non chiede di credere in un dogma, ma vedere, ascoltare, prendere posizione. Questa fu la via di Pasolini. I poveri e la giustizia, erano il suo orizzonte scomodo: «Ma nei rifiuti del mondo, nasce / un nuovo mondo […] / la loro speranza nel non avere speranza» (La religione del mio tempo, 4).

Indubbiamente Pasolini si sarebbe accostato con fiducia alla predicazione di papa Francesco. Gli ultimi, i migranti, le periferie del mondo: la “Chiesa in uscita”, come corpo che soffre. Pasolini non è un “alleato” religioso convenzionale, ma qualcuno che rende visibile ciò che il cristianesimo pretende di essere: compassione, verità, provocazione.

Lo sguardo che sa vedere “oltre”

Su quel litorale di Ostia, Pasolini morì in modo tragico, controverso. Quel delitto privò l’Italia di una delle sue voci più scomode e necessarie. Quanto ci manca, oggi, un intellettuale altrettanto critico, alto, mai schierato! Lui, comunista dichiarato, che rimprovera i contestatori violenti che assaltano – da figli di papà – i poliziotti proletari…

Lui, cattolico forse credente e non praticante, che rimprovera i funerali sontuosi di Papa Pio XII, colpevole di essere morto in contemporanea con un povero mendicante ritrovato senza vita a Roma – erano nati lo stesso giorno, il 2 marzo 1876; e morti entrambi nell’ottobre 1958. Due coetanei perfetti, resi concittadini da Roma, ma «Tu [del Zucchetto] non ne sapevi niente: come non sapevi niente / di altri mille e mille cristi come lui», dice Pasolini.

Quanta libertà ci vuole per immagini e prese di posizioni come queste? Il risultato era scontato: Pasolini fu un cattolico senza Chiesa e un comunista senza partito; condannato da entrambi per la sua omosessualità, che tanto scandalo suscitava all’epoca.

Giustizia, verità, memoria

L’insieme delle sue opere testimonia un intellettuale affamato di verità, anche di quella che fa male. Perciò, oggi, la sua memoria non può essere solo commemorativa. Ci impone di chiederci: come Pasolini ci avrebbe parlato oggi? Cosa avrebbe detto del nostro presente – la crisi climatica, la diseguaglianza globale, le migrazioni, la povertà nascosta tra le metropoli?

Cinquant’anni dopo, Pasolini non è un idolo; è una domanda. Ogni volta che il Vangelo chiede: Dove sono i miei fratelli affamati?; ogni volta che la politica pensa più al consenso che al volto concreto di chi soffre; ogni volta che l’arte si abbassa a semplice decorazione, ecco, è lì che Pasolini ci spinge a squarciare la superficie: a entrare nella vita, nella carne, nel disagio.

Se il cristianesimo è testimonianza, quello che resta di Pasolini è una testimonianza preziosa: di amore ferocemente umano, di orizzonte di giustizia, di desiderio del sacro che non teme la domanda.

Il sacro di Pasolini riposa in una battuta fulminante della Medea, l’altro suo film capolavoro: «Ciò che è sacro si conserva accanto alla sua nuova forma sconsacrata». Un messaggio per i nostri giorni, giorni di chiese semivuote, ma di strade piene – malgrado tutto – di Dio.

Paolo Di Sacco

Cinema e cultura, Em movimento com arte

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