In questa prima domenica di febbraio celebreremo la 47° Giornata per la Vita. Come è risaputo, questa Giornata nasce all’interno dell’aspro confronto, che portò alla promulgazione della legge 194, che sancisce il diritto all’aborto. Oggi, più che mai, è importante sottolineare il nome di questa Giornata, per la Vita appunto, non contro l’aborto. Purtroppo nel furore della polemica, da una parte e dall’altra, viene ancor oggi vissuta più nel secondo senso.
A tale riguardo rimando alla lettura del bel Messaggio, che la CEI ha promulgato per l’occasione: Il Messaggio per la 47ª Giornata Nazionale per la Vita – Chiesacattolica.it In particolare, quest’anno l’accento non poteva non cadere sulla relazione tra la Speranza e la fiducia nella Vita. Anche il Messaggio, come ciascuno di noi, sembra oscillare nell’alternativa, se viene prima la Speranza, o prima la Vita. Mi pare che la felice sintesi di questa alternativa stia in questo passaggio, ripreso dalla Bolla giubilare “il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro a ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza” (SnC 9).
D’accordo con i nostri Vescovi mi chiedo se “Il riconoscimento del “diritto all’aborto” sia davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?”. D’altro canto saremmo ipocriti, come di fatto molto spesso lo siamo, se non riconoscessimo, che “Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e “civile” rimuovere?
Quale futuro c’è per un mondo dove si preferisce percorrere la strada di un imponente riarmo piuttosto che concentrare gli sforzi nel dialogo e nella rimozione delle ingiustizie e delle cause di conflitto?”.
In altre parole, a nulla serve incancrenirsi sul fatto di concedere, o meno, il consenso legale all’aborto, se poi ci voltiamo dall’altra parte, per non vedere gli innumerevoli oltraggi alla Vita umana, prodotti dalle ingiustizie sempre più scandalose. Qui non si tratta soltanto della drammatica solitudine delle donne più povere, di fronte alla responsabilità di un figlio. In realtà, il lasciarci trascinare dentro una società sempre più materialista ed edonistica, ci rende un po’ tutti “vittime e carnefici” della stessa. In tal modo il valore della Vita umana, a cominciare dalla nostra, ci appare sempre più sfumato ed insignificante.
Eppure…, eppure la forza ed il coraggio, per invertire la rotta, ovvero per un impegno senza quartiere per la Vita umana, contro tutte le ingiustizie che la profanano, ebbene tale forza può venire soprattutto dalla Vita stessa, più che dai nostri calcoli e dai nostri accorgimenti. Dalla Vita umana, accolta e servita in ogni istante del suo esistere, scaturisce la forza di vivere e di rinascere dalle nostre innumerevoli morti. A tale riguardo mi è sembrato provvidenziale questo ennesimo dono di una mamma migrante.
Domenica scorsa, dopo aver accompagnato una signora a fare la spesa, passando per ritirare la sua bambina, che nel frattempo aveva fatto le solite bellissime treccine africane, sono entrato nella casa di una terza signora africana, che aveva trasformato la cucina in un salone di bellezza. Prima che me ne accorgessi, mi sono ritrovato tra le braccia Ann, la figlia di due anni e due mesi della nostra “parrucchiera”. Non curante del muco nasale, che le scorreva liberamente, Ann non si è lontanamente chiesta chi fosse quest’unico uomo bianco, apparso improvvisamente. Lei era solo preoccupata di abbracciarmi e di sorridermi. E così anch’io ho potuto rivivere gli indimenticabili abbracci brasiliani…
Accompagnando “la parrucchiera” al CAS, dove ancora risiede, scopro, che è sbarcata in Italia tre anni fa, ha già un Permesso di cinque anni ed è in attesa di essere inserita in un progetto SAI, per un inserimento organico nella società italiana. In realtà, però, lei, pur potendosene stare tranquillamente nel CAS, o in giro per Lecco, aveva trovato un lavoro dalla 20.00hs alle 24.00hs ed oltre, a caricare gli scaffali dell’IPERAL di Lecco; salvo poi tornarsene a casa di notte in monopattino fino a Malgrate. Eh sì, perché è in questo modo, vengono dall’Africa a rubare il lavoro ai nostri figli e nipoti… Eppure, neanche così ha potuto continuare a farsi sfruttare, semplicemente perché non aveva a chi lasciare la bambina…
Tornandomene a casa, sono passate nella mia mente tutte le possibili obiezioni e le relative soluzioni, italiane ed africane, per questo normalissimo caso di Vita vissuta. Alla fine ho capito, che aveva senso semplicemente ringraziare quella ragazza, per aver accolto quel miracolo di figlia, che mi ha regalato uno degli abbracci più belli della mia Vita…
Pe. Marco