nativita-735x400In questo Natale, ancora troppo avvolto dalle tenebre, il Signore ha voluto soccorrermi in una di quelle forme paradossali, che solo Lui può inventare. E l’ha fatto chiamando a sé improvvisamente un mio carissimo amico. Siccome è morto il giorno 13 di dicembre, ripensando in questi giorni alla nostra amicizia, non ho potuto non ricordare un Natale di qualche anno fa, che abbiamo vissuto “assieme” in America Latina. Io ero in Brasile da un paio d’anni circa. Per lui penso che fosse il suo primo Natale in Chiapas, nel sud del Messico. Infatti lui, che era mio collega all’ITIS “Torricelli” di Milano, decise di andare in pensione qualche anno prima, non per godersi lautamente la sua pensione, ma per andare in quella periferia del mondo ad insegnare matematica ai maestri delle Comunità zapatiste. Purtroppo i miei ricordi sono un po’ sfumati; pertanto non ricordo esattamente se la nostra chiacchierata via skype avvenne il giorno stesso di Natale, oppure qualche giorno dopo.

Sta di fatto che ci sentimmo e scambiammo le nostre reciproche impressioni su queste due esperienze, che stavamo vivendo in parallelo. Ad un certo punto, parlando specificamente del giorno di Natale, ricordo che lui mi raccontò di averlo passato in una Comunità zapatista abbastanza remota. Infatti, lui ed altri volontari facevano parte di una sorta di commissione internazionale, chiamata a monitorare le azioni violente dei paramilitari. Quella Comunità era stata saccheggiata qualche giorno prima e loro erano accorsi per raccogliere le denunce delle vittime. Raccontandoci la mitica notte di Natale, rimasi a bocca aperta, quando mi raccontò di aver dormito in una delle loro povere case, steso su una tavolozza di legno, in mezzo ai pidocchi. E, quando io indagai sulle possibili alternative rispetto a quella situazione estrema, mi rispose candidamente: “Per loro, purtroppo, tutto ciò è la normalità. Perché non dovevo farlo?”. Mentre vi scrivo queste righe mi si raccapriccia ancora la pelle, ricordando i pensieri di quel momento. Infatti tra me ho pensato: “Ecco lui ha vissuto realmente questo Natale. Molto più realmente di me, che pure ho celebrato la Messa della Natività di Gesù”. E, se per caso esiste una “santa invidia”, ebbene io l’ho provata in quel momento.
In realtà quel mio sentimento era ancor più paradossale, perché questo mio amico era ateo e si guardava bene dal camuffare il suo ateismo. Infatti, in diverse occasioni, più per eccesso di amicizia che per intenzioni proselitistiche, mi ero lasciato scappare espressioni del tipo: “Ma tu sei molto più cristiano di me”; ma lui, con gentile fermezza, rivendicava il suo fascino per Gesù, pur riconoscendone solamente la sua umanità straordinaria. Probabilmente in questo momento, dal Cielo, avrebbe da dire qualcosa su queste mie collocazioni; ma penso che, ormai, avrà capito che in fondo avevo ragione io…
Ecco, questo mio Natale è segnato da questa memoria, che forse sarebbe meglio definire un memoriale, nel senso genuinamente pasquale del termine.

Di fronte ad una testimonianza così grande e paradossale, in questi giorni continuo a chiedermi che cosa ne abbiamo fatto noi del Mistero dell’Incarnazione. Purtroppo secoli e secoli di cristianesimo, rinchiuso in infinite norme canoniche e riti anonimi ed incomprensibili, hanno pressoché azzerato il fatto che la fede cristiana è fascino ed adesione a Gesù di Nazareth e al suo modo d’intendere la vita. E questa vita, quella di Gesù di Nazareth, è passione, dedizione totale per rendere questa vita più umana e più fraterna. Allora la nascita tra noi del Figlio di Dio non è avvenuta per fare le crociate in suo nome, ma per dare senso e coraggio nel metterci a servizio gli uni degli altri, a partire dai più poveri e marginalizzati.

Invece un mio fedele mi ha rimproverato ciò che molti invece pensano, ovvero che io non parlo sufficientemente della divinità di Gesù e di tutti gli altri dogmi della nostra fede. Probabilmente pensano che questo esercizio, e non la carità, apra le porte del Paradiso.
Purtroppo, a volte, sembra che il Vangelo abbia abbandonato i nostri ambienti ecclesiali; o forse sarebbe meglio dire che molti di coloro che li frequentano tutto conoscono nell’ambito religioso, tranne il Vangelo.
Che il memoriale della Sua prima venuta ci aiuti a credere di più nell’umano, in tutto ciò che è genuinamente umano, perché Lui ci crede e l’ha santificato una volta per tutte.

Pe. Marco