In questa triste controriforma del nostro Lezionario liturgico, ci ritroviamo nel giro di poche settimane a meditare nuovamente su questo Vangelo (Mt 21,12-16), per altro bellissimo e meritevole di maggior rispetto.
Detto ciò, per me non può che essere un piacere riprenderlo, tentando magari di mostrare meglio le sue ricadute. Tra l’altro lo schema liturgico di questa domenica ci permette di risalire meglio alle premesse storiche e spirituali, che hanno motivato il clamoroso gesto di Gesù. Infatti, il brano della prima lettura è forse quello, che meglio ci permette di cogliere il progetto imperiale di Davide, portato a termine dal figlio Salomone. Come in tutti i progetti imperiali, di ieri e di oggi, è fondamentale mostrare alle masse, che l’Onnipotente sta dalla parte dell’autorità.
Nel nostro caso, l’Onnipotente misterioso, che abita nelle oscurità siderali, si rende misteriosamente presente in questo tempio. “Allora Salomone disse: «Il Signore ha deciso di abitare nella nube oscura. Ho voluto costruirti una casa eccelsa, un luogo per la tua dimora in eterno». Il re si voltò e benedisse tutta l’assemblea d’Israele, mentre tutta l’assemblea d’Israele stava in piedi“. Addirittura il re benedice il popolo. Conseguentemente tutto ciò, che il re messia farà, sarà semplicemente espressione della volontà divina.
Purtroppo i testi liturgici, che ci parlano di Salomone, sono tutti selezionati da un unico filone teologico/spirituale, quello della cosiddetta “teologia del tempio”, che vede in tutto ciò la pura e semplice volontà di JHWH. Ed anche quando accenna al costo di questo progetto, lo dipinge con tratti decisamente positivi, quasi che il popolo fosse una cosa sola con il re e ne condividesse fino in fondo le manie di grandezza “Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele, convenuta presso di lui, immolavano davanti all’arca pecore e giovenchi, che non si potevano contare né si potevano calcolare per la quantità”.
Però il popolo, già sul finire del regno, prese coscienza degli abusi di potere di Salomone; per questo motivo con la sua morte la sua creatura imploderà su sé stessa, con buona pace di Netanyahou e di tutti i sionisti… “Tutto Israele, visto che il re non li ascoltava, diede al re questa risposta: “Che parte abbiamo con Davide? Noi non abbiamo eredità con il figlio di Iesse! Alle tue tende, Israele! Ora pensa alla tua casa, Davide!”. Israele se ne andò alle sue tende. Sugli Israeliti che abitavano nelle città di Giuda regnò Roboamo… Israele si ribellò alla casa di Davide fino ad oggi.” 1Re 12,16-19.
A conferma di quanto detto fin qui, come primo segno della secessione, cosa farà Geroboamo, capo delle tribù ribelli? Costruirà due templi alternativi: uno a Betel e l’altro a Dan: “Geroboamo pensò: “In questa situazione il regno potrà tornare alla casa di Davide. Se questo popolo continuerà a salire a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio del Signore, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo, re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda”. Consigliatosi, il re preparò due vitelli d’oro e disse al popolo: “Siete già saliti troppe volte a Gerusalemme! Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto”. Ne collocò uno a Betel e l’altro lo mise a Dan”.
Questa rapido, quanto insufficiente, excursus biblico vorrebbe evidenziare come la questione del tempio e delle spiritualità ad essa connessa attraversa in modo conflittuale tutto l’Antico Testamento.
Ad essa, però, si contrappone la spiritualità dell’Esodo, tenuta viva dalle correnti profetiche. Essa non appare maggioritaria nei testi biblici, ma li attraversa come un filo rosso, che arriva fino a Gesù di Nazareth. Questa teologia parte dal presupposto, che per quarant’anni Israele non ha avuto alcune tempio. L’Arca dell’Alleanza camminava con il Popolo nel deserto, protetta da una semplicissima tenda. Tutto ciò a significare quanto Paolo ci ha detto nella seconda lettura “Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo”. In altre parole, se Israele accoglie fiduciosamente la Parola di Dio e su di essa costruisce la sua vita, personale e sociale, Lui, il Signore, camminerà con il suo Popolo e ne farà un popolo alternativo, una società alternativa, in mezzo agli altri popoli.
Ebbene, il gesto di Gesù dal fortissimo valore simbolico, “ribalta” la teologia del tempio, per portare a compimento quella dell’Esodo. In Lui, nelle sue parole, ma soprattutto nella sua prassi, si realizza il passaggio definitivo da relazioni ingiuste ed oppressive a relazioni pienamente giuste e fraterne. Per questo motivo “gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì” e i bambini lo acclamano.
Forse anche noi, nella crisi epocale che stiamo attraversando”, abbiamo bisogno di “ribaltare” la vita delle nostre comunità troppo fondate sul culto nei templi, per arrischiarci in qualche nuova iniziativa di nomadismo missionario in mezzo alla gente, con uno sguardo privilegiato nei riguardi degli ultimi e degli esclusi.