Con questo tema la Chiesa del Maranhão ha celebrato, sabato e domenica 17-18 de Ottobre, la sua XII Romaria della terra e dell’acqua. Come sempre in questi eventi, non poteva mancare la frase/slogan, che aiuta a focalizzare meglio il tema; nel nostro caso la frase scelta è un versetto del libro dell’Esodo: ”Togli i sandali, perché il suolo che stai calpestando è sacro”. Come sempre c’è una certa diatriba dei numeri, quando avvengono questi eventi, ma ragionevolmente possiamo azzardare che circa 18.000 persone abbiano partecipato, rappresentando le dodici Diocesi dello Stato del Maranhão.
Le “romarie”, per intenderci, sono forme di pellegrinaggio, tipiche di tutta la realtà brasiliana; non saprei dirvi qual è la loro importanza nella cultura portoghese. Certamente, qui in Brasile, hanno segnato e continuano ad essere un fenomeno tipico della cultura e della religiosità nordestina. Tradotte in chiave italiana, le “romarie” sono dei pellegrinaggi, perché normalmente hanno come meta un santuario, o un luogo simbolo per la fede. Ciò che le caratterizza è la distanza di svariati chilometri, da percorrersi a piedi. Inoltre, a causa delle temperature proibitive, normalmente la “romaria” comincia la sera e termina il mattino seguente, quando il sole non è ancora troppo caldo.
Le CEBs (Comunità Ecclesiali di base), fin dal loro sorgere, hanno recuperato questo tratto tipico della religiosità popolare, arricchendolo di contenuti sociali e politici. Così le “romarie”, organizzate dalla CEBs, normalmente, sono momenti di celebrazione e riflessione, a partire dalla Bibbia e dalla Dottrina Sociale della Chiesa, su qualche tema scottante ed attuale. Nel nostro caso, il tema trattato voleva richiamare l’attenzione delle autorità e della comunità ecclesiale sulla questione dei “territori”, intesi come ambienti vitali, spazi abitati e trasformati dalla presenza dei gruppi umani, che in essi creano le loro condizioni di vita e costruiscono le loro culture.
Anche a partire dalla lingua italiana, è ben nota la differenza concettuale tra l’idea di terra, come ambiente prevalentemente fisico e geografico, e l’idea di territorio come spazio “umanizzato”, trasformato e reinterpretato dalla presenza umana. E’ lo spazio vitale in cui l’uomo, mentre produce il necessario per vivere, attribuisce nuovi significati alle cose e agli oggetti. In questo modo la bruta materialità, la terra, gli oggetti diventano prodotti culturali, capaci di interagire con la sete di senso, che ognuno di noi porta dentro di sé.
In questo contesto ogni territorio è caratterizzato da una cultura ed ogni cultura ha bisogno di un territorio per riprodursi e crescere come tale, come cultura, e non semplicemente come reperto da museo.
Questa Romaria, pur essendo stata un evento estremamente popolare e celebrativo, è stata pensata a partire da queste linee di pensiero. In particolare, la pretesa di questo evento era di risvegliare la coscienza critica e denunciare il processo di massificazione e uniformazione in atto ad opera del pensiero unico occidentale. Per intenderci si voleva discutere la tesi dell’”uomo ad una dimensione”, per dirla con Marcuse. A mio avviso, in alcuni momenti, chi alimenta questo tipo di dibattito è spinto da qualche tentazione naif, rieditando il “mito del buon selvaggio”, relegando le culture altre in uno spazio ed un tempo fuori dalla storia. E così, per esempio a volte, negli incontri appare sempre qualcuno che, surrettiziamente, vorrebbe passare l’idea che qualsiasi meccanizzazione dell’agricoltura è una forma di colonizzazione occidentale.
Detto ciò, però, stando qui nella “trincea” dove il confronto sta avvenendo, non si può nascondere che il vero problema è un altro. E il problema si chiama: “forza suadente” della razionalità tecnologica occidentale. Questa, prima ancora di imporsi come pratica di vita e di produzione, tende a proporsi come unico e migliore dei mondi e delle culture possibili. Questa dittatura culturale devasta le culture originali, siano esse afrodiscendenti o “quebradeiras de coco”, indios o popolazioni peschiere, piccoli agricoltori o popolazioni estrattiviste di vario tipo; perché, da un lato, le relega ad un rango di subalternità, generando un senso fortissimo di inferiorità; dall’altro seduce i suoi membri, perché abbandonino le loro culture, per entrare in questo stadio di vita, ipoteticamente superiore. Come sempre questa cultura razionalistica tecnologizzante già viene con le armi ben affinate della seduzione e della propaganda ingannatrice, che presenta i “sogni capitalisti” come realtà e, al tempo stesso, nasconde la realtà da lei prodotta.
La Romaria, al di là di denunciare questo processo in atto, voleva rivendicare il diritto ai territori vitali, per le varie specie di popolazioni sopra citate. Infatti, il modello agricolo brasiliano, drammaticamente funzionale al sistema mondiale delle “commodities”, continua ad espellere silenziosamente dai loro territori migliaia di persone. Qui nella nostra realtà maranhense, oltre agli effetti devastanti già evidenti, viviamo con grande apprensione un mega progetto del Governo Federale, chiamato MA-TO-PI-BA, che è frutto della congiunzione delle sigle di quattro Stati brasiliani: Maranhão, Tocantins, Piauì e Bahia. Di fatto, questo progetto, se andrà in porto, prevede la “liberazione” di milioni di ettari di terra, falsamente definite improduttive, perché coltivate diversamente, per essere “pienamente valorizzate” dall’agrobusiness, perché lui, e solo lui, sa “valorizzare” i beni naturali.
L’impatto della Romaria, in prima battuta, è difficilmente quantificabile; anche perché se la mettiamo sul piano di un mero confronto mediatico, beh, allora già sappiamo chi ha vinto. La nostra speranza è di riuscire ad incidere minimamente sulla coscienza delle persone, per dar vita a qualche forma di organizzazione popolare, che tenti contrastare questo processo. Alla fine sappiamo che il Regno, non si vede, ma cresce e avanza silenziosamente.

 

Pe. Marco

 

 

      PARTENZA PER LA ROMARIA