
Questa settimana mi sono successi due fatterelli a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Il primo è accaduto martedì sera, durante l’Incontro di Zona dei coordinatori decanali delle Caritas. Commentando l’intervento neofascista nei riguardi dell’apicoltore contrario al genocidio di Gaza, chi parlava riferiva di come quest’uomo stesse ricevendo numerosissime manifestazioni di solidarietà, che però non si sono tradotte in una grossa reazione collettiva, politica, nel senso della polis, la collettività colpita da una decisione del genere. Dopo poche ore, mercoledì mattina, mi sono ritrovato a meditare sul brano di Lc 23, 28-31, che riporta la famosa frase di Gesù: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”, che per me si è illuminata di una luce nuova. Infatti Gesù, lungi dall’essere maleducato, in quella situazione drammatica della Passione cerca di richiamare l’attenzione delle donne sulle ricadute sociali e comunitarie di quanto sta avvenendo, mentre loro sono totalmente coinvolte dalla commozione nei suoi confronti. La tragedia è aggravata da Lui, “il legno verde”, sacrificato nel pieno del suo vigore e della sua missione. Tralasciando i molti parallelismi con le mie vicende brasiliane, tradotto nell’oggi potremmo dire: “Se le migliaia di bambini trucidati in Palestina, piuttosto che in Ucraina, o in Sudan non riescono a far tacere i cannoni, allora non potete immaginare cosa potrà ancora capitarvi!”. Eppure tutti, seppur da schieramenti diversi, ci commuoviamo, piangiamo, al vedere la tragedia di tanto dolore innocente. Contemporaneamente però dimentichiamo che una tale tragedia non sarebbe possibile, se non fosse frutto di scelte politiche, ovvero di uomini e donne, che si uniscono, per promuovere tali azioni violente. Anche questo è un atto politico. Ovvero, anche noi che normalmente diamo un’accezione negativa all’aggettivo “politico”, siamo da sempre coinvolti in scelte politiche, che possiamo assecondare, o contrastare. Tertium non datur… Esattamente a questo livello non possiamo non chiederci, perché la nostra commozione, o la nostra indignazione, di fronte a tanto male non si tramuta in azioni collettive, in azioni politiche, volte a contrastare la violenza, per promuovere processi di dialogo e di riconciliazione. La sensazione è che il Principe della divisione, il Diavolo, riesca magistralmente a tener separati i buoni e ad unire i malvagi. Ovviamente la cosa non è di oggi e del nostro individualismo sfrenato, se già Gesù a suo tempo richiamava questo pericolo. Forse oggi la situazione è particolarmente deteriorata, perché abbiamo rivestito l’individualismo con le vesti dell’ideologia; infatti ancora osiamo dire che tutto dipende dall’individuo… Ma illudersi che l’individuo sia padrone assoluto della sua vita, a prescindere da tutte le relazioni che lo condizionano, e rinchiudersi nelle proprie scelte personali, senza voler vedere le loro ricadute sociali, è forse il substrato spirituale e ideologico, che rende possibile le tragedie di cui sopra. Invece noi siamo delle persone, ovvero realtà inserite inscindibilmente in una trama di relazioni, che ci costituiscono e che possiamo a nostra volta alimentare. Da qui l’urgente necessità di re- imparare a pensarci e a ragionare con il “noi” comunitario. Che lo Spirito del Padre e del Figlio possa aiutarci a cogliere la portata sociale ed ecclesiale di ogni nostra scelta e di ogni nostro atteggiamento. Pe. Marco