Questa riflessione, sicuramente anomala, nasce da un insieme convulso di pensieri, che per pietà vi risparmierò. Alla fine ha prevalso questa intuizione fondamentale, che cercherò di comunicarvi. L’idea è quella di dare un piccolissimo contributo, per far riemergere dalla trasfigurazione storica ed ecclesiastica la grandiosa figura del Vescovo Ambrogio, dal quale ha preso nome la Diocesi di Milano.

Il malessere, che mi ha spinto a questa ricerca, nasce dall’incontro/scontro quotidiano con i suoi testi decisamente secondari, eppur propagandati a piè sospinto dai suoi adulatori contemporanei. Indubbiamente non possiamo non riconoscere valore spirituale alle sue ardite allegorie. D’altro canto, la valorizzazione sincera delle stesse deve riconoscere la loro datazione storica e conservarle laddove è bene che stiano: nel Museo ambrosiano. Non parliamo del suo innario liturgico…

Eppure, quest’uomo ha segnato la Storia non solo del suo tempo, ma dei secoli successivi fino a noi, se è vero come è vero, che può essere certamente considerato tra gli artefici di quel fenomeno culturale e religioso, che va sotto il nome di cristianità. Senza voler entrare nell’analisi di questo tema vasto e complesso, le due citazioni di seguito ci raffigurano plasticamente questo fenomeno. Infatti, pochi decenni dopo la morte del terribile imperatore Diocleziano, il nostro Ambrogio non ha remore a presentarsi come amico intimo del suo successore: l’imperatore Teodosio; quello, per intenderci, che dichiarò il cristianesimo religione imperiale ed iniziò la persecuzione contro i culti pagani.

Eppure, come dicevo, qui non mi azzarderò nell’analisi di quei fatti epocali. Vorrei invece evidenziare lo stile e la personalità di quest’uomo, che non si è preoccupato di essere politicamente corretto, né tantomeno si è lasciato trascinare dalla paura nell’esercizio del suo ministero episcopale. E mi permetto di rimarcare l’aggettivo episcopale, contro tutte le letture ideologiche, che vorrebbero derubricarlo ad un’intromissione politica da parte di un vescovo.

Anticipando inconsapevolmente la felice definizione di Dom Pedro Casaldaliga, Ambrogio sa che ogni suo gesto ha una valenza politica, compreso il silenzio, o l’estraneità. Per questo motivo scende deliberatamente e consapevolmente nell’arena della polis, ben consapevole che l’orizzonte politico, temporale, non è tutto, non è l’orizzonte ultimo del suo Ministero.

E allora, mentre vi auguro una buona lettura di quanto segue, vorrei invitarvi con me a chiedere l’intercessione di S. Ambrogio, perché il Signore conceda alla nostra Diocesi e all’Italia qualche vescovo come lui e non solo oppositori, o ripetitori anonimi, del Magistero di Papa Francesco.

Buona meditazione.

“A Tessalonica è accaduto qualcosa di atroce, di inaudito. Soffro nel vedere te, un modello di pietà come non si era ancora visto, tu che praticavi la più alta clemenza e non sopportavi di assistere neanche all’esecuzione dei colpevoli, accettare senza compassione la morte di tanti innocenti… […] Molte azioni ti sono valse delle lodi, ma era la tua pietà a coronare la tua gloria, e il diavolo è diventato geloso del meglio che possedevi. Questo crimine odioso peserebbe anche sulle mie spalle, se né io né altri ti dicessero che devi riconciliarti con Dio. Non sei che un uomo. Il peccato è avvenuto. Ebbene, toglilo. 

Non oserei offrire il santo sacrificio, se tu ti presentassi in chiesa e pretendessi di assistere. Mi è proibito celebrare in presenza di chi ha versato il sangue anche di un solo innocente, e come potrei celebrare davanti a chi ha versato il sangue di tanti infelici? Non penso di averne il diritto. Scrivo questa lettera di mio pugno, e sarai tu l’unico a leggerla. Se sei cristiano, farai quello che ti chiedo. Se no, perdonami per quello che faccio. La mia preferenza va a Dio.” (Tratto dalla Lettera di Scomunica dell’Imperatore Teodosio).

– disse il santo Vescovo nell’elogio funebre dell’imperatore –, ho amato questo uomo che preferì ai suoi adulatori colui che lo riprendeva. Gettò a terra tutte le insegne delle dignità imperiali, pianse pubblicamente nella Chiesa il peccato nel quale lo si era perfidamente trascinato, e ne implorò il perdono con lacrime e gemiti. Semplici cortigiani si lasciano distogliere dalla vergogna, e un imperatore non ha arrossito di compiere la penitenza pubblica, e da allora in poi non un sol giorno passò per lui senza che avesse deplorato la sua mancanza. (Tratto dell’Elogio funebre per l’Imperatore Teodosio).