Questa domanda di At 2,12, purtroppo esclusa dalla “nuova” versione liturgica, penso riassuma
efficacemente l’intelligenza, con la quale leggere il brano della Pentecoste. Infatti, contrariamente
alle nostre morbose domande materialiste (cosa è avvenuto? Come? Dove? Quando?), il racconto
di Luca è invece preoccupato di trasmetterci il senso ed il significato del passaggio della Chiesa
nascente: da una Chiesa ebraica alla Chiesa dalle Genti. Ecco allora, che più che indugiare sui
dettagli simbolici dal chiaro valore teofanico, è assolutamente necessario cogliere l’intero
movimento del racconto.
Il tutto inizia nel Cenacolo con i discepoli e le discepole di Gesù di Nazareth, intenti a sostenersi e
ad incoraggiarsi nello smarrimento ancora dominante. Da un lato il divieto delle autorità religiose,
di parlare “in nome di Gesù”; dall’altro le sue “apparizioni”, impreviste quanto sconvolgenti, che di
fatto impedivano l’immediata sottomissione agli ordini del Potere.
Come ogni raggruppamento umano, anche la Chiesa, di ieri e di oggi, contando su di sé e sulle
proprie forze, cerca di raccogliersi in sé stessa, per ottimizzare quel poco, o tanto, di risorse, che le
sono rimaste. Il Cenacolo, come le nostre sacristie, o i nostri oratori, possono trasformarsi in
“tane” dove rifugiarci, perché fuori infuria la tempesta…
Però qualcosa di dirompete, d’incontenibile, la forza stessa del Padre, il Suo Spirito travolge questi
uomini e queste donne lacerati e li “spinge” proprio là, dove non penserebbero mai di andare per
il momento: nell’agorà, nella piazza pubblica, in balia delle genti, che potrebbero in qualsiasi
momento deriderli, prendersi gioco di loro, della loro ingenua ostinazione, della loro “incredibile
immaginazione”.
Eppure loro non possono tacere “ciò che hanno veduto e conosciuto”; se non altro hanno il diritto
di parlarne, di confrontarsi con gli “altri”, anche per capire meglio loro stessi, quanto sta
accadendo.
Invece, ciò che doveva essere un problema, un ostacolo, si rivela una sconvolgente novità: anche
le Genti, che sapevano poco o niente del Messia, capiscono il nocciolo dell’intera questione, il
kerygma, ovvero che Gesù di Nazareth è stato inviato dal Signore del mondo, per portarci un
messaggio di Salvezza e di Liberazione; noi non gli abbiamo creduto e l’abbiamo crocifisso; ma
quel Signore e Padre lo ha risuscitato dai morti. In altre parole, il Padre ha dato a tutti gli uomini
un’altra chance per credere in Lui e seguirLo definitivamente.
Dunque tutte le “lingue”, tutte le culture, tutte le società, tutte le classi sociali, e non solo
l’ebraismo, possono capire, accogliere e lasciarsi trasformare da Gesù di Nazareth e dal suo
Vangelo.
Guai a noi, pertanto, dal rinchiudere il Vangelo in una lingua e nella sua cultura, sia essa
l’aramaica, la greca, la latina, l’anglosassone, l’africana e chi più ne ha, più ne metta. Invece, ogni
lingua ed ogni società potrà trovare la sua pienezza dall’incontro con Gesù ed il suo Vangelo.
Ma questo dinamismo, imprevisto e sconvolgente ad un tempo, non è stato un evento mitico e
misterioso, da ricordare pedissequamente ogni anno. Assolutamente! Anzi il racconto di Luca
vuole comunicarci esattamente il contrario.
Infatti, quello che ho appena descritto è un dinamismo, che può avvenire in qualsiasi luogo ed in
qualsiasi tempo della Storia, laddove dei discepoli di Gesù di Nazareth cercano di testimoniarlo
come possono, a chi non l’ha ancora “incontrato e conosciuto”. Questa è la Chiesa. Per fare questo
e solo questo esiste la Chiesa. Fermarsi, o enfatizzare, solo uno, o l’altro degli elementi in gioco,
non fa la Chiesa. Raccontare semplicemente questo brano, non fa la Chiesa. Affidarsi a quel
dinamismo, di cui sopra, significa essere e far parte della Chiesa di Gesù di Nazareth, il suo Corpo
che continua a vivere nella Storia.
Solo questo vuole dirci il racconto della Pentecoste…
Pe. Marco