Cambiare attività è un’esperienza sempre più frequente nel nostro mondo globalizzato e «flessibile»: si cambiano mansioni, sede, azienda, talvolta il tipo stesso di lavoro (un professionista decide di dedicarsi all’agricoltura biologica, un lavoratore dipendente si mette in proprio, una mamma manager apre una libreria per bambini…), ma come la mettiamo se a voler cambiare è un prete?
Sgomberiamo il campo dalla tonaca alle ortiche, anzi. Qui si tratta di un prete tedesco della diocesi di Münster, parroco da 30 anni (ottime relazioni con la sua comunità e il vescovo). Un prete, realizzato nella sua scelta vocazionale («celebro con gioia l’eucaristia sia la domenica, sia nei giorni feriali»), ma che ad un certo punto ha visto il limite della sua azione, o meglio gli ostacoli che incontra sul cammino, e chiede di «staccare».
“Aus, Amen, Ende? So kann ich nicht mehr Pfarrer sein” (Fuori? Amen? Fine? Così non posso più essere parroco) è la sua confessione affidata ad un libro pubblicato in Germania lo scorso anno e appena arrivato sui nostri scaffali in traduzione italiana.
Come si può immaginare sono assai profonde le differenze tra la Chiesa tedesca – efficiente, organizzatissima, anche per la presenza di laici stipendiati e a tempo pieno, quotidianamente interpellata dal dialogo ecumenico, finanziata a livello fiscale dalla dichiarazione di appartenenza – e la nostra situazione, ma Tullio Citrini, prete lombardo che ha insegnato per 25 anni teologia del sacramento dell’ordine nel Seminario di Venegono e già rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma, evidenzia nella prefazione anche una forte affinità: la riduzione progressiva della pratica religiosa e del numero dei preti, con innalzamento continuo della loro età media.
Un motivo in più per seguire la vicenda di don Thomas. «Dopo trent’anni di servizio improvvisamente ho chiuso … Ho chiesto di essere congedato e ho abbandonato il campo che ha configurato per decenni le mie giornate, la mia vita, la mia persona …Avevo fatto volentieri il parroco e volevo essere ancora prete. Ma non potevo continuare in quel modo». L’annuncio alla comunità parrocchiale solleva il classico polverone e rimbalza ben presto sui media anche al di fuori dei confini tedeschi, nelle riunioni dei consigli presbiterali e pastorali, in Vaticano.
In tutti questi anni confessa di essersi alimentato a libri, conferenze, sondaggi, ricerche, seminari di eminenti esperti e teologi, elaborazioni di piani pastorali, ma non ha mai trovato risposta alla domanda che lo insegue: «Come vivono, pensano, sentono le persone oggi e quali conseguenze questo ha per la fede?». Logica la conclusione: per andare avanti occorre «correggere la rotta!». «Ciò che non ho perso – dirà più avanti – è la fede nell’esistenza di un progetto cristiano per la nostra società, per la quale vale la pena di vivere».
Non è un testo teologico quello di don Frings, piuttosto un racconto altrimenti confinato in chiacchierate tra amici, e magari scambiato (erroneamente) per sfogo da stress. Per chi è sposato ogni difficoltà sul lavoro o nella relazione di coppia trova spazio in un rapporto a due frutto di un amore che ha fatto scegliersi l’un l’altro per attraversare insieme i giorni della vita, ma per un prete qualunque situazione è da affrontarsi in solitudine a meno che non si decida altrimenti, di condividerla.
È la scelta di don Thomas che ha cara la forma del quasi-diario, non priva di spunti di autentico umorismo tra riflessioni e realtà (lo slancio del cagnolino verso gli sposi recando gli anelli sulla schiena). Scorre così la narrazione in cui, come scrive Citrini, forse non sarà possibile, almeno per un prete, non lasciarsi in qualche modo coinvolgere.
La storia inizia negli anni ’80, all’epoca degli studi teologici: il numero di vocazioni sacerdotali in crescita e il calo degli anni successivi veniva ascritto al calo demografico: quando diverse parrocchie cominciarono a restare senza prete, la Chiesa continuava a reggersi su un modello in esaurimento (si fondono parrocchie, si dislocano celebrazioni e nulla più). Le scuole cattoliche ancora considerate un’opportunità per l’annuncio, ma davvero «luoghi di insegnamento e apprendimento della fede?».
Tante le perplessità nei confronti della comunità cristiana verso la tendenza di perdita di significanza. Se la frequenza alla messa domenicale è in caduta libera, la stragrande maggioranza delle famiglie chiedono ancora i sacramenti (grande risalto per la festa) e relativa catechesi, ma all’indomani della celebrazione non si vedono. Al battesimo i genitori promettono di educare i figli alla fede, ma quando arrivano a catechesi non conoscono neppure il segno della croce. Cresce il divario tra le rare celebrazioni lungo la vita delle persone (matrimoni, battesimi, prima comunione, anniversari, Natale, Pasqua, esequie), e la risonanza interiore: «Ciò che mi addolora è la mancanza di consonanza all’interno di molte celebrazioni, e sono in crescita!». E cita l’apertura di un libro di Pessoa: «Vivo in un tempo nel quale gli uomini perdono la fede per la stessa ragione per cui i loro genitori l’avevano: non sanno perché».
L’autore è ben consapevole di apparire eccessivamente pessimista, ma è la concretezza della sua origine renana a farlo proseguire. Anche sfatando quelli che sembrano ormai luoghi comuni: andare a trovare le persone dove sono? E se le persone non volessero poi incontrarci e lasciarsi accompagnare dove vorremmo?
Fin dalla prima comunità apostolica non è mai esistita una comunità ideale, ma oggi «non credo più che la strada che ho percorso come parroco sia una strada che indica il futuro. Nella migliore delle ipotesi, può leggermente rallentare la perdita di significato e di importanza».
Di più: siamo davanti a «una chiesa che a tutti i livelli lavora più per il suo passato che per il suo avvenire». Nonostante la presenza di tante strutture, la chiesa-popolo sta morendo e ciò che arriverà dopo di lei non è ancora visibile, «navighiamo in un territorio sconosciuto». Perché allora non usare una buona volta il tasto «reset» e azzerare il molto che va avanti solo per inerzia? Se un gruppo di lavoratori cattolici ha solo pensionati, se il gruppo donne ha un’età media di 80 anni, se quegli stessi genitori che si scandalizzano per l’impossibilità di sostituire un parroco, lo sarebbero ancora di più alla rivelazione di farsi prete di un figlio, se si raccolgono firme per non chiudere una chiesa, salvo che poi resterà vuota: ma chi entrerebbe oggi in un’azienda con simili prospettive di futuro? Proviamo a staccarci da tante cose che sono finite, «pronunciamo un Amen senza rimpianti, pronti a riconoscere, pieni di speranza, che questa non è la Fine!».
«Esiste un baratro enorme fra il desiderio che le cose tornino come un tempo e la realtà», ma in una famiglia nessuno si aspetta che i figli tornino bambini … «Siamo in un cambiamento che ha modificato la morfologia del terreno: se non possiamo cambiare la semente, il Vangelo, possiamo certamente cambiare il nostro modo di seminare».
Negli Atti gli Apostoli ad un certo punto si chiesero se anche i pagani non fossero chiamati e l’apertura ai non giudei fece qualcosa di inaudito, dice Frings. Forse in una parrocchia del futuro, ormai non più territoriale, può esistere anche un gruppetto di persone che non intendono partecipare alla messa, ma si riuniscono periodicamente a discutere di fede. Punto di partenza non sia più la cura pastorale di un gruppetto che si assottiglia sempre di più, bensì la domanda di coloro che cercano e il loro coinvolgimento come attori».
Se fosse un panificio la parrocchia non dovrebbe vendere solo pane integrale, ma vari pani adatti alla fame dei clienti … senza contemporaneità forzate (la prima comunione in terza o quarta classe), senza sagrestano perché sono i fedeli stessi a farsi carico di ogni esigenza e si responsabilizzano anche gli sposi per la celebrazione del matrimonio … E’ «la parrocchia della decisione», dove ciascuno si sente valorizzato. Perché non benedire due fidanzati che non decidono di sposarsi? O un neonato i cui genitori non sono convinti del battesimo? «Non è una capitolazione pastorale, è la strada tracciata da Gesù». E allora: «Sei il benvenuto, anche se non sei battezzato, puoi far parte della nostra comunità!». Invece di «fondere» parrocchie, perché non «fondare» nuove parrocchie?
Potrebbe forse la grazia di Dio mancare nelle situazioni di bisogno?
“Così non posso più fare il parroco. Vi racconto perché”, di Thomas Frings (prefazione di Tullio Citrini) Ancora Editrice pp. 168 € 19,00.