Una di queste sere mi sono ritrovato a celebrare una di quelle Messe incastrate in una giornata
piena d’impegni. In tal modo mi sono ritrovato, da un lato a preparare la riflessione in modo
tumultuoso, dall’altro a sentire impellente la voce della coscienza che mi diceva: “Ma queste cose
le hanno già sentite mille volte e le conoscono a memoria, perché ripeterglele?”. Pena che “le cose
risapute” sono quelle che ci dice Mc 6,7-13. Cose risapute, appunto, eppure normalmente
trasgredite, nel senso che “il cristiano normale” solitamente non si preoccupa per queste cose.
E fu così, che lasciandomi provocare da questa contraddizione, macroscopica e scandalosa, ovvero
che il cristiano medio non ha la minima preoccupazione di annunciare il Vangelo, ebbene per i
motivi sopra indicati, alla fine ho deciso di girare la domanda alle dodici apostole, che ho trovato
ad accogliermi per celebrare l’Eucaristia (tante erano le sante donne, che hanno dovuto
sopportarmi…).
Eppure, come spesso succede in questi momenti di precarietà e spregiudicatezza ad un tempo, ne
è uscita una predica/riflessione tra le più interessanti del mio esilio corennese.
In particolari due aspetti penso meritino una riflessione.
Il primo lo ha fatto emergere l’unica “infiltrata” del gruppo, simil Giuda per intenderci, che a fronte
delle scusanti addotte dalle undici fedeli frequentatrici, ad un certo punto ha detto chiaramente:
“Ma lui (io nel caso) sta dicendo che normalmente chi partecipa alla Messa, uscito fuori, non si
preoccupa di annunciare il Vangelo”. Nella mia ingenua spontaneità non ho saputo far altro che
complimentarmi con lei. Ma come si sa, le donne non perdonano e, finita la Messa, le undici fedeli
mi hanno aggredito, per aver prestato il fianco a “colei”, che sarebbe la prima a sbattere la porta
in faccia agli eventuali missionari del Vangelo.
Detto ciò, va subito detto che, anche a partire da questa provocazione, è emerso quello che forse
è il tratto qualificante dell’intera questione. Infatti, se posso riassumere l’insieme delle reazioni,
direi che tutta l’attenzione andava, da un lato sulle reazioni dei possibili interlocutori, dall’altro sui
sentimenti di timidezza e vergogna nel mettersi a parlare del Vangelo con chi, in un modo o
nell’altro, sembra non aver interesse con lo stesso. In tal modo, però, accadeva che nessuna delle
signore presenti s’importasse… con il Vangelo.
In altre parole, tutta l’attenzione andava a focalizzarsi sulle difficoltà, reali o presunte, che
incontriamo quando tentiamo di annunciare il Vangelo; ma nessuna di loro si poneva la domanda
di fondo: ma Gesù cosa ha detto? E noi cosa ne facciamo del comando di Gesù? E, se è vero come
è vero, che la stragrande maggioranza dei cristiani non si preoccupa con l’annuncio del Vangelo,
che cosa succede? Quali sono le conseguenze per la Chiesa?
Fermo restando, che dobbiamo stare molto attenti quando usiamo questa frase “annunciare il
Vangelo”, per non confonderla con battaglie culturali e tentazioni proselitistiche; ciò nonostante il
problema emerso nella predica di ieri sera è il più grande problema che la Chiesa ha in questo
momento della Storia.
Ed il problema non consiste semplicemente nel fatto che ci sia poca passione missionaria nella
Chiesa attuale. Il vero problema è che ciò non è neanche più avvertito come una palese
contraddizione, se non addirittura un tradimento, nei riguardi del Comandamento di Gesù. In
fondo, se avessimo coscienza di tale tradimento e c’inquietassimo, allora vorrebbe dire che
staremmo avvertendo la posta in gioco, pur non sapendo esattamente cosa fare.
Invece, ciò che sta avvenendo, nonostante i ripetuti richiami di Papa Francesco, è il nostro dar per
scontato che possiamo dirci cristiani, senza preoccuparci minimamente di fare la nostra parte per
evangelizzare.

Per chi non l’avesse colto, vorrei far notare che in tutti i brani in cui Gesù invia gli Apostoli in
missione immediatamente Lui stesso dichiara di “inviarli come agnelli in mezzo a lupi”; così come li
avverte in anticipo che il rifiuto fa parte “del contratto”; ovvero, il rifiuto opposto ai missionari del
Vangelo non riguarda questa società materialista e agnostica. Anzi! Anche nel contesto culturale di
Gesù decisamente religioso, il Vangelo era scomodo e generava rifiuto!
Pertanto, prendere a pretesto il rifiuto, o la derisione dei vicini, dei colleghi, degli stessi familiari,
per non porsi in missione, beh tutto ciò è chiaramente segno della nostra fragilità, più che
qualcosa di nuovo ed imprevisto nel panorama della Fede.
Che fare allora, per invertire questa rotta perversa, che sta pregiudicando la Chiesa da molti secoli
ormai?
Personalmente penso che dovremmo semplicemente assumere e lasciarci provocare dal
Comandamento di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il mio Vangelo ad ogni uomo”.
Tradotto a livello personale significa chiedersi incessantemente: “E adesso, nella mia condizione di
vita, in questa situazione in cui mi trovo, cosa posso fare per testimoniare la Buona Novella di Gesù
di Nazareth?”.
Se sapremo sopportare il peso di questa domanda, ripetuta nella nostra preghiera, lo Spirito del
Risorto farà Lui il resto.

d. Marco