Ancora una volta ci troviamo di fronte ad uno dei misteri liturgici della nostra liturgia ambrosiana, che ci offre due schemi di letture, molto diversi tra di loro, a seconda che si celebri o meno la Messa con la processione degli ulivi. Io vorrei tenere come scenario di riferimento l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, perché credo sia quello che meglio esprime il senso di questa domenica, che introduce alla Settimana Santa, o Settimana autentica come si suol dire oggi.
In effetti, questo ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme crea la giusta tensione con i racconti del Triduo pasquale.
Certamente per capire il senso di questa domenica e del Vangelo, che la illumina, dobbiamo superare quell’insostenibile contrasto tra gli “osanna” di questa domenica e il “crocifiggilo” del Venerdì Santo.
Ovviamente, anche nelle peggiori società di massa, non è spiegabile questo repentino cambiamento d’umore delle folle. Ed in effetti non c’è mai stato questo inspiegabile voltafaccia, semplicemente perché di un ingresso in Gerusalemme tra ali di folla non abbiamo nessuna menzione a livello storiografico.
Le folle di cui parlano gli evangelisti sono evidentemente un’accentuazione affettiva, volta a sottolineare l’importanza di quel momento. E quel momento doveva essere importante nella pedagogia di Gesù, che stava concludendo il suo lungo “viaggio”, che dalla periferica Galilea l’avrebbe portato fino al cuore dell’ebraismo: Gerusalemme.
Così doveva essere, per portare a compimento la missione che il Padre gli aveva affidato; perché Gerusalemme è la città santa ed in essa vi è il Tempio, cuore e centro della fede ebraica. Il compimento delle promesse passa necessariamente attraverso la conversione d’Israele; ma Israele è anche il Tempio e tutto il potere religioso che gli gira attorno. Gesù è pienamente consapevole che l’incontro/scontro tra la Buona Novella e l’apparato del Tempio non sarà indolore.
Anzi, lo scontro si preannunzia durissimo, perché Lui è già stato abbondantemente osteggiato e perseguitato da quegli apparati.
Ecco, esattamente dentro questo clima di tensione altissima, Gesù decide di compiere questo gesto messianico, che rievoca intenzionalmente la profezia di Zc 9,9-10, ripropostaci dalla prima lettura.
Come a dire: qualsiasi cosa mi facciamo, non temete e non perdete la vostra fede! Io sono quel Messia annunciato anche da Zaccaria. Io vi porto quella Pace piena e totale da lui preannunciata, nonostante cercheranno di farvi credere il contrario.
Questo dunque è il senso profondo del gesto di Gesù, che ricordiamo ogni Domenica delle palme. In questa prospettiva, sia i Vangeli, che le folle, risultano molto meno contradditori.
Senza soffermarmi sui dettagli simbolici dell’entrata a cavallo dell’asinello, il chiaro riferimento a Zaccaria sottolinea il rapporto tra la testimonianza di Gesù ed l’avvento dello “Shalom”, la Pace messianica. Eppure, come ben sappiamo, Gesù è stato un uomo perennemente in conflitto durante la sua vita terrena. Praticamente in ogni pagina dei Vangeli troviamo Gesù impegnato in accesi dibattiti, quando non in veri e propri scontri verbali e teologici. Se le cose sono andate realmente così (e non vedo come si possa dire il contrario, visto l’esito tragico della sua vita), ebbene se ciò è vero, come possiamo attenderci la Pace da questo Maestro?
Qui sta uno dei grandi paradossi cristiani, che noi facciamo sempre molta fatica a sostenere nella nostra vita. Certamente la proposta di Gesù, il Vangelo, produrrebbe un mondo di Pace, nella misura in cui ogni uomo ed ogni donna lo assumesse radicalmente nella propria esistenza.
Ma questa adesione al Vangelo può avvenire solo attraverso profondi cammini di conversione personale e smantellando le molteplici strutture di oppressione, che il nostro peccato ha creato. Orbene, questo processo di conversione, personale e sociale ad un tempo, non è e non sarà mai indolore, pacifico, lineare.
Purtroppo, dentro la nostra realtà storica, potrà solo avvenire attraverso conflitti e tensioni. A mio avviso nella nostra Chiesa occidentale non veniamo educati a questa dimensione della nostra Fede. Purtroppo nella nostra pratica catechetica manca quasi totalmente l’educazione alla dimensione testimoniale della Fede, attraverso la pratica della non-violenza. E così oscilliamo tra una minoranza che vagheggia un ritorno alle crociate medievali, per annunciare il Vangelo, e la grande maggioranza esperta nello scivolare sulle grandi negazioni del Vangelo della nostra società.
Ma così facendo la Pace messianica sarà sempre più lontana.
Gesù che entra liberamente in Gerusalemme, consapevole di affrontare gli esiti dei molti conflitti suscitati, dovrebbe darci la forza per affrontare i nostri conflitti, come segno di fedeltà al Vangelo.
P.e. Marco