natale

“Il Verbo si fece carne”! Con i suoi vari sinonimi e le varie traduzioni questa è certamente la formula più classica e riassuntiva, per esprimere il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Come spesso succede nel nostro comunicare, non ci soffermiamo a soppesare ciò che diciamo. Nonostante ciò penso di non essere lontano dal vero, quando dico che con questa espressione vogliamo sottolineare il carattere prodigioso di tale evento; ovvero il fatto che, questo “prendere carne” da parte del Verbo, sia avvenuto senza concorso umano.

In realtà non ci fu concorso maschile, perché la collaborazione di Maria ci fu e fu degna del Verbo-Parola… Infatti tutti noi conosciamo il dialogo tra Maria e l’arcangelo Gabriele. Dentro quel contesto di Parola ed ascolto matura l’assenso di Maria, il suo consegnarsi ad una Parola, che le consegnava un compito, che andava ben oltre la sua comprensione e le sue capacità. Ma solo questo atteggiamento fiduciale permette al Verbo di entrare nella Storia e divenire carne, divenire Vita umana.
Benché siamo stati educati a contemplare l’aspetto prodigioso della fecondazione di Maria, penso che oggi come non mai dovremmo sostare di più sul dialogo tra Maria e l’arcangelo Gabriele. Infatti, in quelle poche battute e nella consegna di Maria c’è iscritto il senso profondo della nostra umanità. Solo nel dialogo con il nostro Creatore e nel consegnarci alle sue promesse, la nostra umanità può essere feconda, può essere generativa di vita. Benché la fecondità abbia varie dimensioni, il venire al mondo di un bambino, rimarrà sempre l’emblema ed il paradigma di ogni altra fecondità.
Anche e soprattutto quest’anno il Natale cade alla fine di un anno drammatico, nel quale il virus ha rivelato impietosamente le chiusure alla Vita della nostra società e, quindi, il suo carattere strutturalmente autodistruttivo. Infatti, solo il nostro orgoglio e la nostra arroganza possono ancora attribuire magicamente al virus le innumerevoli morti, oppure, peggio ancora, far risalire il tutto ad una fantomatica maledizione divina.
Eppure sappiamo da tempo che il Signore non interviene miracolosamente a sanare le conseguenze del nostro orgoglio e della nostra presunzione; soprattutto quando questa chiusura è nei riguardi della sua stessa Parola. Nonostante il secolo ha visto sorgere in occidente il “Movimento biblico”, per riconsegnare le Scritture al Popolo di Dio, questi ha interessato più il livello accademico degli studi biblici.
Infatti, nel nostro opulento e tecnocratico occidente la fede è più interessata ai miracoli, che non all’ascolto delle Promesse di Dio. Anche coloro che hanno una certa affinità con le Scritture, molto spesso ne fanno oggetto più di studio e di evasione dalla vita reale, che non di un dialogo serrato con l’Altissimo, alla ricerca della sua volontà e delle sua giustizia. Per questo motivo, anche e soprattutto nei cattolici più devoti, riscontriamo un modo di stare nella realtà ben lontano dal Vangelo. Magari non si arriva a fare scelte chiaramente antievangeliche, perché anche nel fare il male ci vuole coraggio. Però il “sottofondo musicale”, il retro pensiero che accompagna molti discorsi, è estraneo alla logica evangelica.

È esattamente in questo “sottobosco del cuore”, che sbocciano i più svariati atteggiamenti e decreti contrari alla Vita, dal suo apparire, al suo fiorire, fino al suo spegnersi.
Mi piace qui riportare brevemente un colloquio casuale, che ho avuto qualche giorno fa con un ragazzo africano, mentre andavamo assieme dall’avvocato. Ad un certo punto mi colpì l’intensità e la densità delle sue parole, mentre cercava di dirmi la sua angustia di non poter divenire padre, per il fatto di non avere né un lavoro, né una casa. Non c’era in lui nulla d’irrazionale e compulsivo; semplicemente percepisce che senza l’esperienza della paternità la sua vita è monca, non ha ancora raggiunto la sua pienezza. Mentre lo ascoltavo, cercavo di farmi venire alla mente i volti e le storie dei giovani italiani suoi coetanei. Stiamo parlando dei giovani tra i venticinque ed i trent’anni. Formalmente userebbero le sue stesse parole, perché anche loro molto spesso non hanno un lavoro dignitoso ed una casa secondo le loro aspettative. Ciò nonostante hanno molte più garanzie ed appoggi di lui. Eppure il sogno dei figli e della paternità non è in cima ai loro pensieri; per cui le loro battaglie e le loro rivendicazioni non hanno come orizzonte questa metà, bensì maggiori possibilità economiche, per poter godere la vita, finché le forze lo permettono.

Lo psicodramma collettivo di queste settimane rivela emblematicamente il livello di scissione, in cui si trova la coscienza dell’uomo occidentale. Infatti, questa parte dell’umanità, da un lato ha scoperto che può controllare il virus vivendo una vita frugale ed essenziale; dall’altro questo tipo di vita sta facendo crollare il 40-50% del sistema economico, esattamente quello costruito attorno all’effimero e all’industria del piacere. Purtroppo questo secondo aspetto non è più colto come effimero, dunque come facoltativo. No, anzi in una società totalmente fondata sul benessere economico, anche il guadagno frutto dell’effimero e dell’edonismo è visto come coessenziale con i bisogni fondamentali dell’esistenza.
Non solo; ma il non poter godere della vita è diventato più importante della Vita stessa. Così si preferisce correre il rischio di ammalarsi, piuttosto che rinunciare all’aperitivo sui Navigli, o alle “vasche” nelle vie del Centro. Ma ripeto, tutto ciò non è per me motivo di giudizi moralistici nei riguardi dei singoli. Ciò che a me interessa sottolineare è quanto la nostra coscienza collettiva sia ormai lontana anni luce dal Vangelo e, dunque, dalla verità di noi stessi. Infatti, dopo decenni di “industria culturale” capitalista, quasi non percepiamo più di essere ridotti come quei maiali costretti ad ingrassare velocemente, per fornire carne a buon prezzo. Così noi siamo sempre più forzati a guadagni spropositati e stressanti, per poter spendere/consumare il più possibile, per mantenere l’intero sistema neoliberale.
Ecco allora che, quest’anno più che mai, la Luce del Verbo viene a folgorare le tenebre di una società, che ha voluto costruirsi lontano dai suo Vangelo e dai suoi poveri. Per grazia con Lui non si può mai dire mai. La Sua Misericordia, pur mettendo a nudo queste nostre povertà, attende solo un “Sia fatto di me secondo la tua Parola”, come ha avuto il coraggio di dire un’adolescente duemila anni fa.

Pe. Marco