Credo che la prima reazione di fronte alla nuova enciclica di Papa Francesco debba essere di gratitudine. C’era bisogno di una voce di grande autorevolezza che sollecitasse la riflessione e l’impegno di tutti – credenti e non – sul tema della cura della casa comune.
Il Papa lo fa con ampiezza di orizzonti, descrivendo le varie dimensioni della crisi che l’umanità sta vivendo.
Infatti non c’è soltanto una grave crisi ambientale, che pone a rischio la stessa abitabilità di ampie zone del pianeta, ma a essa si affiancano crisi sociali ed emergenze umanitarie legate allo squilibrio tra popolazione e risorse in varie regioni del globo e al protrarsi e all’intensificarsi di guerre e violenze di fronte alle quali la comunità internazionale appare sostanzialmente impotente.
Nella prima parte del capitolo 1 s’analizza lo stato di salute del pianeta, rilevando gli effetti del crescente inquinamento, della mancata o cattiva gestione dei rifiuti e del cambiamento climatico. Quest’ultimo, che si presenta come la più seria sfida ambientale per l’umanità del XXI secolo, è correttamente inquadrato, insieme alle sue cause, ai numeri dal 23 al 26, dove una piccola imprecisione fa definire altamente inquinanti i gas serra che invece sono pericolosi in quanto climalteranti ma non portano, nella maggior parte delle situazioni, alcun pregiudizio alla salute dell’uomo.
Per dare un’idea della difficoltà della sfida e dell’urgenza di interventi per limitare le emissioni di CO2 in atmosfera, occorre fornire qualche numero.
Da tempo c’è consenso tra gli scienziati sul fatto che per limitare a 2 °C l’aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre (valore oltre il quale ci si attendono cambiamenti climatici di tipo catastrofico) è necessario stabilizzare a non più di 450 parti per milione (ppm) la concentrazione di CO2 equivalente, concentrazione che oggi ha già raggiunto il valore di 400 ppm.
L’Agenzia internazionale dell’energia ha studiato l’andamento tendenziale delle emissioni di CO2 nello scenario di riferimento (definito come «business as usual»), quello cioè in cui i fabbisogni energetici continuano a essere soddisfatti con ricorso prevalente ai combustibili fossili seppure con l’impiego delle migliori tecnologie disponibili. Ebbene, le emissioni annue di CO2, oggi di poco superiori ai 32 miliardi di tonnellate, raggiungerebbero nel 2050 i 57 miliardi di tonnellate, mentre il livello di emissioni al 2050 necessario a stabilizzare a 450 ppm la concentrazione di CO2 dovrebbe essere di 14 miliardi di tonnellate.
Si tratta dunque di tagliare di 3/4 le emissioni previste al 2050. È una sfida colossale che richiede uno stringente accordo tra tutti i paesi del mondo, che comprenda ovviamente tutti i grandi emettitori (in primis Cina e USA), faccia gravare lo sforzo maggiore sui paesi sviluppati, che sono quelli che finora hanno emesso la maggior parte della CO2, e lasci spazio – come chiede con forza il papa – allo sviluppo dei paesi poveri.
Dimenticare Kyoto?
Vengono poi affrontati la questione dell’acqua, la perdita della biodiversità e il fenomeno del degrado umano e sociale che accompagna quello ambientale e che colpisce particolarmente la parte più debole dell’umanità. È un pregio particolare di questo documento quello di aver legato i problemi ambientali a quelli sociali e di aver analizzato in un intero paragrafo (numeri dal 48 al 52) i vari aspetti della «inequità planetaria» (n. 48; Regno-doc. 23,2015, 10) a cui siamo chiamati a porre rimedio con altrettanta urgenza di quella richiesta dalla crisi ambientale. Per una volta, i problemi vengono visti anche dal punto di vista del Sud del mondo che è quello che ha pagato il prezzo più alto al modello di sviluppo finora imperante.
Nei primi due paragrafi del capitolo 5 s’affronta il problema dei mezzi per attuare il cambiamento richiesto. Data la scala globale dei problemi, si sottolinea giustamente che le soluzioni potranno arrivare solo dal dialogo tra le nazioni e da accordi globali equilibrati e si esemplificano alcuni primi risultati conseguiti su questa strada. All’esame dei principi che devono essere alla base delle strategie di contrasto del cambiamento climatico sono dedicati i numeri dal 169 al 173. In linea generale, essi sono condivisibili (salvo che per la contrarietà a meccanismi di «emission trading» espressa al n. 171).
Tuttavia stupisce il silenzio sul Protocollo di Kyoto (l’accordo internazionale sulla riduzione dei gas serra firmato nel 1997) che, con tutti i suoi limiti, ha prodotto, per l’impegno dei paesi aderenti tra i quali ha primeggiato l’Unione Europea, le prime significative riduzioni nella emissione di CO2 e che rappresenta un’esperienza preziosa sulla base della quale potranno essere costruiti nuovi, più estesi e vincolanti, accordi di riduzione. La prima occasione per verificare la volontà politica di giungere a nuovo accordo, dopo le affermazioni in questo senso delle leadership americana e cinese, sarà la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Parigi il prossimo dicembre (cf. anche Regno-att. 7,2015,439).
Un punto cruciale, spesso trascurato ma invece sottolineato con forza dal papa, è che il cambiamento deve partire da ciascuno di noi. Il nostro stile di vita determina molte cose nel grande mondo che ci circonda. Con il nostro comportamento di consumatori possiamo influenzare le scelte dei produttori. Il modo con il quale usiamo l’energia e l’acqua, la quantità dei rifiuti che produciamo e la cura che mettiamo nella loro corretta gestione sono tutte azioni che dipendono da noi e hanno grande influenza sia sulla qualità della nostra vita che sul futuro del nostro pianeta.
La serietà della crisi e il dovere di porre rimedio alle inaccettabili iniquità nello sviluppo dei popoli ci impongono di evitare ogni spreco e di vivere con sobrietà. Fondamentale nel diffondere nuove abitudini ecologicamente e socialmente responsabili è l’educazione, in particolare quella delle nuove generazioni, affidata alle famiglie e alla scuola; il papa dedica un intero paragrafo (dal n. 209) a questo tema, citando anche una specifica responsabilità della Chiesa nel compito educativo (n. 214).
Altre parti del testo appaiono più problematiche. Emblematico è il caso dell’approccio alla tecnologia: è essa un mezzo importante per conseguire i fini che l’uomo si pone o un male da combattere se non addirittura la causa di tutti i mali?
Nel testo si oscilla tra queste due posizioni. Così, mentre al n. 102 la scienza e la tecnologia sono definite come prodotto meraviglioso della creatività umana e viene espressa gratitudine per il lavoro fatto da scienziati e tecnici a beneficio dell’umanità, si trovano passi, come il n. 108, in cui si afferma che non si può pensare di servirsi della tecnica senza essere dominati dalla sua logica perversa. Questa ambiguità attraversa quasi tutto il testo.
Pregiudizio antitecnologico
Il rischio di un pregiudizio antitecnologico si manifesta in varie forme in molti altri numeri (cf. 20, 53, 54, 101, 106, 107, 109, 111, 113, 128, 203), mentre una visione positiva traspare, in varia misura, dai numeri 103, 114, 131, 132, 133. In un caso la contraddizione si ritrova all’interno dello stesso numero, il 34. A parere di chi scrive questa ambiguità doveva essere risolta con nettezza. Non v’è dubbio che la scienza e la tecnologia siano alleate imprescindibili per conseguire l’obiettivo di costruire un mondo migliore. Il loro libero sviluppo deve essere dunque auspicato e garantito, anche se l’utilizzo dei loro ritrovati deve essere sempre sottoposto, come per ogni attività umana, al controllo dell’etica.
Anche le riflessioni sull’«antro-pocentrismo moderno» (n. 115) e il «relativismo pratico» (n. 122) lasciano perplessi. Ne emerge un quadro così assolutamente negativo (ad esempio al numero 123) da far dubitare che vi sia possibilità di riscatto e di bene, in contrasto con molti altri passi che invece si aprono alla speranza e in cui si riconosce che l’uomo è fondamentalmente libero e può resistere alla tentazione di considerarsi il centro dell’universo e al fascino del male.
Al tema della crescita demografica è dedicato il n. 50. Vi si sottolinea giustamente che incolpare l’incremento demografico degli attuali problemi del mondo è un modo per evitare di affrontarli e di porre rimedio allo scandalo dell’iniqua distribuzione delle risorse e degli sprechi della parte opulenta dell’umanità. È certo che un uso equo ed efficiente delle risorse disponibili sarebbe in grado di garantire una buona qualità di vita a tutti gli attuali abitanti del pianeta e di consentire un ulteriore incremento della popolazione. Tuttavia sarebbe stato opportuno aggiungere che, in alcune aree del mondo, il controllo demografico può essere necessario, almeno come misura transitoria, per affrontare e risolvere le crisi più drammatiche.
Qualche riserva deve essere espressa anche sulla formulazione dei numeri (dal 182 in poi) dedicati alla trasparenza dei processi decisionali nella realizzazione di nuove opere. Accanto alla giusta richiesta d’indipendenza e interdisciplinarietà degli studi d’impatto ambientale e di coinvolgimento delle popolazioni interessate, si prevedono (cf. nn. 183 e 184 dove si cita del tutto impropriamente l’energia nucleare), procedure di valutazione così estensive e pervasive da bloccare qualunque iniziativa. Non era certamente questa l’intenzione del pontefice, che infatti ai nn. 187 e 188 esprime una posizione diversa, tuttavia sarebbe stato utile ricordare che alcune opere pubbliche, pur comportando un peso e un disagio – che devono essere ovviamente minimizzati – per le comunità locali, sono essenziali per il bene comune di comunità assai più ampie e, proprio per questo, debbono essere accettate e realizzate in tempi certi.
Una riflessione specifica, che qui lo spazio non consente, richiederebbe infine il discorso del nuovo modello di sviluppo. Nel documento sono presenti – rispondendo probabilmente alle diverse sensibilità delle Chiese locali del Nord e del Sud del mondo – due diverse posizioni: una, più gradualista, che punta a una correzione delle storture dell’attuale modello di sviluppo, e una, più radicale, che punta a un suo completo ripensamento che ne muti le fondamenta.
È facile trovare nel corpo del testo le tracce dell’una e dell’altra impostazione. L’importante è che il proseguimento della discussione sulle due alternative e sui loro contenuti specifici non impedisca né rallenti l’opera comune per avviare subito il cambiamento reso urgente dallo stato del pianeta.
Sono le attuali leadership (con tutti i loro limiti richiamati nel documento) che devono trovare il coraggio di una svolta nelle politiche ambientali e sociali, sono i cittadini del mondo di questa e delle prossime generazioni a doverla realizzare. È dunque opportuno superare le barriere ideologiche e unire tutti gli uomini di buona volontà intorno a obbiettivi ambiziosi ma realistici, facendo tesoro delle buone pratiche che sono già state sperimentate in varie parti del mondo e in particolare nell’Europa occidentale.