mediatore

In questo Tempo pasquale, nel quale contempliamo il trionfo del Cristo risorto, questa liturgia della Parola vuole aiutarci a ricordare, innanzitutto, il carattere drammatico di questa vittoria. Infatti, la vittoria di Gesù non fu un susseguirsi trionfale di passaggi positivi. In altre parole, la vita cristiana non può essere immaginata come un procedimento lineare e progressivo, ad immagine del nostro corpo fisico che si sviluppa autonomamente e cresce progressivamente. La vita cristiana, come ben c’insegna Gesù, è un abbandonarsi ed un corrispondere alla volontà del Padre ed, al tempo stesso, una lotta continua, senza quartiere, contro il peccato ed il demonio, che cerca continuamente di pregiudicare questa relazione filiale.

Sappiamo per esperienza, che la nostra natura precaria e fragile cade continuamente sotto il peso delle tentazioni e delle illusioni seducenti. Come può l’essere umano vincere questa sua debolezza? Come possiamo risalire dalle nostre continue cadute?
Da sempre l’umanità porta dentro di sé questo senso del peccato e della colpa. Per questo motivo in tutte le religioni incontriamo riti di espiazione e di purificazione, con i quali l’uomo e la donna cercano di accattivarsi la divinità; cercano di riconquistare la Sua benevolenza. Se da un lato ci sono i grandi riti di ringraziamento per le varie stagioni della vita; dall’altro abbiamo una vasta gamma di riti e procedure per offrire alla Divinità i vari tipi di sacrifici, perché Lei possa perdonare, o dimenticare, le colpe degli umani.
Dentro questo schema dobbiamo collocare anche tutta la variegata gamma di sacrifici presenti nell’Antico Testamento. Nonostante le indubbie novità della fede ebraica, ciò nonostante su questo punto mantiene molte analogie con le tradizioni pagane. In fin dei conti, anche JHWH deve essere placato a suon di bestiame sacrificato e di primizie offerte alla sua magnificenza, perché cancelli quelle mancanze e quegli errori, commessi anche involontariamente. Il testo della Lettera agli Ebrei fa riferimento a questo complesso rituale, in gran parte incomprensibile per noi. D’altro canto, a partire da questo contesto delle liturgie sacrificali, l’autore sacro evidenzia come in Gesù tutto questo apparato viene completamente superato, ribaltando completamente la prospettiva.
Infatti, in Gesù di Nazareth, che si abbandona totalmente nelle mani del Padre e realizza pienamente la Sua volontà, il peccato viene vinto e superato. Ormai i buoi e le capre per il sacrificio sono stati sostituiti dalla libertà di Gesù, che ha rinunciato ad affermarsi egoisticamente e cerca invece nella relazione con il Padre il Bene, per sé e per gli altri. In questo modo Gesù rende presente il Regno di Dio, ovvero è una realtà, la sua vita, in cui il Padre regna, è sovrano, non per un dominio autoritario e dispotico, bensì per il suo consegnarsi alla volontà del Padre.
Ma se in Gesù è avvenuta questa Pasqua, questo passaggio, allora significa che l’umanità ha fatto questo passaggio, ovvero tutti gli esseri umani possono farlo. In questo senso Lui è “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” e “il è mediatore di un’alleanza nuova”.
Da quanto siamo andati dicendo emerge chiaramente la novità cristiana, soprattutto se collocata dentro la coscienza religiosa di duemila anni fa. Questa importanza data dal cristianesimo al cuore, alla coscienza, alla libertà, quale “luogo” dell’unico vero sacrificio umano ne rivela inequivocabilmente la sua origine divina.
Purtroppo vien da chiedersi che cosa ne abbiamo fatto noi cristiani di questa novità. Fermo restando che si possono sempre citare le solite eccezioni, o i piccoli gruppi, che cercano di vivere alla luce di questa nuova prospettiva offertaci da Gesù, a me sembra che per la grande maggioranza il rapporto con il Signore non esce dallo schema sacrificale, o dalla prospettiva commerciale. Anche al Padre di Gesù e Padre nostro i più pensano che si debba offrire qualche sacrificio, qualunque esso sia, per tenercelo buono, o per accattivarcelo; soprattutto in tempo di disgrazie, siano esse personali, che collettive. Nonostante tutte le meditazione fatte e le prediche sentite, il nostro cuore rimane riluttante all’idea che quel Padre sia così imprevedibilmente grande nell’Amore, da essere sempre pronto ad accoglierci, sempre pronto a ricominciare con noi e con l’umanità. L’unica cosa che gli serve per poter fare ciò è la nostra volontà reale, non aleatoria, di cambiare, di mettere in atto quegli atteggiamenti conformi alla logica del suo Regno.
Questo sì è il sacrificio gradito al Padre, ma questo è anche il sacrificio che raramente riusciamo ad offrigli.

Pe. Marco