L’importanza di credere in Gesù di Nazareth, per vivere come Lui.

Provocato dalle letture di questa domenica, soprattutto la seconda Gal 2, 19-3, 7 e il Vangelo Lc 7, 36-50, mi arrischio in una riflessione per niente scontata per le nostre orecchie cattoliche. Per questo motivo qualche passaggio apparirà un po’ complesso; ma tant’è, visto che per me questo è uno snodo decisivo, per affrontare il drammatico declino religioso occidentale.

A tale riguardo basti citare l’ultima indagine condotta dalla Fondazione “Giuseppe Toniolo”, secondo la quale, tra i giovani dai 18 ai 34 anni, gli atei/agnostici hanno già superato leggermente coloro che ancora si definiscono cattolici: circa il 35% i primi, 33,8% i secondi. Poi, come succede alle elezioni politiche, c’è la restante palude di indecisi, o diversamente credenti.

Tra le varie domande dell’indagine una riguardava il ruolo svolto dalle varie istituzioni, durante la pandemia. Ebbene, la Chiesa, nonostante il grande lavoro svolto dalle Caritas, per il mondo giovanile non ha avuto grande rilevanza, tanto che non rientra tra le cinque realtà più significative. Questo dettaglio, a mio avviso, rivela due dati importanti.

Il primo e più semplice è che la Caritas non è percepita (o non è?) parte integrante e qualificante dell’istituzione Chiesa. Tuttalpiù è aggregata al mondo del volontariato d’ispirazione cristiana.

Il secondo, meno riconoscibile, è che la Chiesa nei suoi livelli più istituzionali, Papa compreso, si è appiattita troppo sulle questioni igienico-sanitarie, finendo per essere assorbita nell’insieme delle istituzioni, che avevano questo compito specifico. Come ebbi modo di dire all’epoca, il problema non era quello di essere a favore, o contro, i vari decreti dell’epoca. La vera questione era che la pandemia improvvisamente, addirittura durante una Settimana Santa, rilanciava sulla scena pubblica la questione esistenziale della Vita e della Morte. Quale occasione migliore di questa per testimoniare con chiarezza, pur senza arroganza, il Kerygma, il contenuto essenziale della nostra Fede?

Anche il tema della “cura”, sviluppatosi molto a partire dalla pandemia, assolutamente legittimo e pertinente, non è sufficiente per esprimere l’approccio cristiano al dolore ed alla malattia. Questo andava sviluppato dentro l’annuncio gioioso della certezza della Risurrezione in Cristo.

Eccoci dunque al legame di questi fuggevoli accenni con i brani sopra indicati. Ovviamente, per chi non ha dimestichezza con la Bibbia, la loro lettura è imprescindibile, per capire il senso di quanto andrò dicendo.

La prima osservazione è la sostanziale estraneità da parte del cattolico medio per il brano citato, come per tutta la Lettera ai Galati. Eppure, questa Lettera, assieme a quella ai Romani, riassume l’impronta data da Paolo alla Chiesa. Se la Chiesa non è rimasta una setta all’interno dell’Ebraismo, lo si deve soprattutto a queste due Lettere.

Eppure, non possiamo negare che la Chiesa, soprattutto nel secondo Millennio, si è affidata più alla sicurezza apparente della Legge, che al rischio di credere come Gesù di Nazareth. La questione è complessa e sfuggente; ma chi vive la vicenda ecclesiale, dal di dentro e fino in fondo, sa che per molti secoli gli ecclesiastici sono stati educati più con il Diritto Canonico, che con il Vangelo. Eppure, Paolo già duemila anni fa aveva detto inequivocabilmente: “Fratelli, mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”.

Orbene, quando Paolo riassume in una frase così radicale la sua intuizione fondamentale, non intende dire che, se tu pensi questo, sei salvo. In realtà, Paolo ci sta dicendo che nessuna Legge, sia civile che canonica, può riassumere la prassi di Gesù di Nazareth. La Legge, come dirà in Rom 7, è come un pedagogo, che ti orienta e ti istruisce, ma non può sostituirsi a te nel rischio di vivere e prendere le decisioni “qui ed ora”.

Da qui l’importanza di credere in Gesù di Nazareth, per vivere come Lui. Infatti, la Fede mi fa riconoscere in Lui la prassi del Figlio dell’Uomo, ovvero dell’uomo e della donna obbedienti al Padre, al Suo progetto sul mondo, che è il Regno di Dio. Ciò anche a costo di essere crocifissi con Lui, perché chi muore in Lui è già da sempre Risorto con Lui.

Mi fermo qui, perché tradirei le pretese di questa riflessione. Però, spero di aver lasciato trasparire la possibilità di un approccio alternativo alle sfide della Vita, rispetto alla falsa sicurezza delle leggi, dei protocolli e delle procedure.

Se ciò era vero ai tempi di Paolo, molto meno standardizzati e burocratizzati dei nostri, lo è a maggior ragione oggi e lo sarà sempre più in futuro, quando l’intelligenza artificiale scatenerà l’inflazione dei protocolli e delle procedure legali.

O la Chiesa recupererà la genuinità della sua Fede in Gesù di Nazareth, seppur con strappi dolorosissimi e laceranti, oppure scivolerà sempre più nell’abisso della burocrazia insignificante.

                                                                                   Pe. Marco