Tutti i brani di Vangelo, che ci parlano dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, citano Zc 9,9-10. Infatti, fin dagli inizi la prima Comunità cristiana ha interpretato quel gesto di Gesù alla luce di quel testo del profeta Zaccaria. Ed ecco allora che Gesù è il Re-Messia, che viene a portare la Pace. La scelta dell’asino, in questo senso, è un simbolo inequivocabile. Infatti, quando il regnante visitava il suo regno cavalcando un’asina, o un mulo, era il segno che non vi erano guerre in atto.
Zaccaria aggiunge anche che il Re messianico distruggerà gli strumenti della guerra, i carri e i cavalli; chiaro segno questo che la Pace non si fa con le armi. Pertanto Gesù, ponendo il gesto simbolico di questo ingresso, di fatto si propone come il Re della Pace, come Colui che intende portare la Pace. Al tempo stesso condanna inequivocabilmente il famoso adagio latino “Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, preparati alla guerra”.
Ma di quale Pace stiamo parlando? Come ci porta la Pace Gesù?
Ben consapevole della visione veterotestamentaria dello Shalom, la Pace, Gesù non sta promettendo di eliminare magicamente, con un atto d’autorità, ogni guerra ed ogni conflitto.
In realtà, Gesù ci sta dicendo che il suo Vangelo, la sua proposta di Vita, se assunta dagli uomini, ha come frutto la Pace, produce quell’insieme di beni e di armonia, che è lo Shalom. Perché questa è la Pace biblica ed ben più della semplice assenza di guerra guerreggiata.
Da qui ne deriva che la Pace non è uno stato delle cose, un ordinamento, o la sudditanza frutto della paura. La Pace è una condizione di vita, più o meno consolidata, a seconda dei processi e dei comportamenti, che la determinano. In particolare, la Pace si consolida e la si esperimenta, quanto più gli uomini e le donne seguono Gesù e vivono secondo il suo Vangelo.
Il vivere come Gesù di Nazareth produce e fa crescere lo Shalom. Laddove il vivere più o meno come Gesù di Nazareth non ha molto a che vedere con l’aumentare le devozioni, o gli atti di culto nei templi. Vivere come Gesù è cercare in ogni momento ed in ogni situazione la Giustizia del Regno, fondata sulla Fraternità universale, ed opporsi, combattere tutte le forme di ingiustizia e disuguaglianza, che la pregiudicano. Ma questa costruzione dello Shalom attraverso la pratica instancabile della Giustizia non può essere frutto d’interventi spot, o di passioni a “corrente alternata”. O la si vive quotidianamente, o è la ragione del proprio vivere, o mettiamo sotto la bandiera della Pace altre preoccupazioni, magari anche buone e giuste, ma pur sempre parziali, se non elitarie.
Da queste semplicissime annotazioni mi sorgono spontanee alcune domande, che in realtà mi stanno inquietando da diversi mesi.
Ovvero, perché è ritornato in auge tutto il linguaggio pacifista, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina? Ovvero perché questa guerra pregiudicherebbe la Pace più di altre guerre, che durano da anni ed hanno già fatto molte più vittime? Per non parlare dei profughi della guerra in Ucraina, che, chissà perché, sono “più autentici e drammaticamente vittime” di altri milioni di profughi, che vagano su tutto il Pianeta…
Potrei sbagliarmi clamorosamente, ma ho la netta sensazione, che gran parte del nostro “no alla guerra” sia più precisamente un “no alla guerra in Ucraina”. E perché ciò? Perché è più vicina a noi? E allora solo quando ci sfiora da vicino la guerra è brutta e cattiva?
Se ciò è vero, mi appare un po’ incomprensibile, o perlomeno ingenuo, il mettersi in gioco per organizzare queste masse pacifiste à la carte, che, forse, sono più preoccupate di salvare le proprie case e le proprie famiglie, che non di costruire la Pace.
Così come mi sembra un piuttosto ingenuo sfilare con coloro, che non vorrebbero inviare armi in Ucraina, per obbligare gli ucraini alla resa ed in tal modo porre fine a tutte le restrizioni economiche, frutto della guerra.
In altre parole, questa concentrazione inspiegabile sull’Ucraina, unita a non poche semplificazioni, potranno porre fine agli scontri armati, ma non faranno crescere la Pace.
Infatti, la Pace è un bene globale e totalizzante: se anche solo due remote tribù indigene sono in guerra tra loro, allora non c’è la Pace. Ma anche quando un uomo, o una donna, è vittima d’ingiustizia e sopraffazione, non c’è Pace e la cosa mi riguarda e m’interessa, se ho conosciuto e creduto nella Pace, che Gesù vuole donarci.
La Pace quella vera, quella di cui abbiamo tutti drammaticamente bisogno, si costruisce impegnandosi ogni giorno senza riserve nel far crescere la Giustizia del Regno di Dio.
Pe. Marco Bassani