pensiero200512-4-largeIl brano della lettera agli Efesini della liturgia di questa domenica ci aiuta a cogliere lo specifico di questa solennità dell’Ascensione, “schiacciata” tra la Pasqua e Pentecoste. Come possiamo ben intuire, il linguaggio umano, usato per dire questo Mistero, è fondamentalmente metaforico: su-giù, terra-cielo, salire-scendere. Questi termini, ovviamente, non vanno intesi in senso letterale; pertanto non indicano dei luoghi e degli spazi fisici. In realtà sono tutti sinonimi per indicare le due grandi dimensioni in gioco: il mondo degli umani, della Terra (giù, terra, scendere…) e la sfera del divino, dell’al di là rispetto alla nostra esperienza umana. La Solennità dell’Ascensione vuole celebrare esattamente questo passaggio fondamentale, questo ritorno del Figlio alla sua dimensione originaria.

E’ grazie a questa sua nuova condizione che Gesù Cristo può ora rendersi presente nella storia in questa nuova forma, con questo nuovo corpo, che noi chiamiamo Chiesa. Questo tema, tanto caro a S. Paolo, è ciò che sostiene le affermazioni significative della seconda lettura: “Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo”. Come ben sappiamo dal resto della lettera agli Efesini, ma soprattutto dal cap. 12 della lettera ai Corinti, il Corpo del Cristo Risorto è la Chiesa, nella quale ciascuno di noi è un membro e Lui, Gesù, è la testa, il capo, che conduce e coordina tutte queste membra, attraverso il dono dello Spirito, presente in tutti ed in tutto.

Orbene, questa nuova dimensione di Gesù, che lo rende realmente ed effettivamente universale, fa sì che Egli possa continuare la Sua missione a servizio del Regno di Dio, senza essere soggetto ai limiti dello spazio e del tempo. D’altro canto Gesù Cristo non è un’idea, o una bella fantasia, che ciascuno di noi porta nel cuore. Nonostante le contraddizioni e le debolezze di questo nuovo corpo, Lui ora si rende tangibile ed esperimentabile attraverso queste nuove membra, che siamo ciascuno di noi.

Questa affermazione, che forse potrebbe spaventare qualcuno, in realtà è un dato fondamentale della nostra fede, assolutamente ovvio e pacifico fino a S. Agostino. Ovviamente non m’illudo di fare una ricostruzione storico-teologica, per capire le ragioni, che hanno portato, lentamente ma inesorabilmente, ad usare la terminologia “Corpo di Cristo” riferita esclusivamente all’Eucaristia. Un fatto però balza all’occhio. Questo spostamento di accenti e di termini coincide con il processo di massificazione della Chiesa; ovvero quando la Chiesa, da setta pericolosa e perseguitata, è divenuta religione dell’Impero, scatenando le “conversioni” ed i battesimi di massa nei secoli V°, VI° e VII°.

In quello sviluppo vertiginoso del cristianesimo, abbandonando il cammino esigente del catecumenato, la Chiesa ha preferito affidarsi “magicamente” alla forza dello Spirito Santo, che opera attraverso i Sacramenti. Ma non serve essere particolarmente acuti per cogliere come tale processo ha deresponsabilizzato pesantemente i neo battezzati; in definitiva essere cristiani, non solo non comportava nessuna scelta esistenziale, ma era addirittura conveniente, perché significava stare dalla parte della maggioranza; significava essere parte di una comunità civile e culturale.

Ma in questo modo, nel volger di qualche secolo, in Europa tutti potevano dirsi cristiani, senza aver mai dovuto scegliere Gesù di Nazareth come loro Signore. Quale paradosso più grande poteva capitare al cristianesimo? Quale trappola il diavolo era riuscito a collocare sul cammino della Chiesa!

Purtroppo, noi, ultimi reduci di quella cristianità, facciamo ancora fatica a liberarci da quelle zavorre.

Ecco allora che, forse, anche il riappropriarci del senso profondo di questa Solennità, potrebbe aiutarci a recuperare la dimensione autentica della nostra relazione con Gesù dentro la Chiesa. Forse anche noi, ciascuno di noi, è chiamato a prendersi cura del Corpo di Cristo, la Chiesa, perché Lui possa ancora parlare agli uomini ed alle donne di oggi.

 

Pe. Marco