Questa meditazione pasquale ha un carattere decisamente anomalo e ne sono consapevole. Capisco che a molti parrà presuntuosa e arrogante. D’altro canto la mia coscienza m’impone questa testimonianza, per il bene della Chiesa e ancor più del Regno di Dio, che cresce ogni giorno nonostante le nostre timidezze e le nostre paure.

Altro dettaglio importante per noi lombardi è la sua lunghezza. A chi ormai si è adeguato a comunicare solo con i tweet, consiglio di non iniziarne la lettura…

Premetto che non ricostruirò l’origine di questa vicenda, perché l’ho sufficientemente narrata nel libro, che gran parte di voi ha già letto. Chi non lo conoscesse, me lo può chiedere, o acquistare in internet: Bassani Marco, Quando il povero non deve pensare, La Meridiana.

Ho scelto questo titolo dal 4° Carme del Servo di JHWH Is 52,13-53,12, non solo perché è risuonato in questa Settimana Santa. In realtà, in un incastro di segni provvidenziali, l’avevo già risentito il giorno 13 di marzo 2024 nell’11° Anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Ebbene quel giorno, durante i miei Esercizi Spirituali è risuonato quasi a commento della risposta che attendevo dal 5 agosto 2017: finalmente è stato rimosso dom Rubival Britto Cabral, vescovo di Grajaú! Colui che con altri personaggi ambigui ha sconvolto la vita di quella Diocesi ed anche la mia personale.

Certamente per chi non conoscesse i retroscena, o fosse estraneo alle vicende ecclesiali, questo trasferimento può essere letto come un normale avvicendamento. Purtroppo, va detto, questo è l’ultimo drammatico limite di una storia di “normale” autoritarismo clericale.

Detto ciò, per chi ha a cuore il Regno di Dio, questa non può che essere salutata come una Buona Notizia. Contrariamente a quanto qualcuno ha insinuato, non si tratta della soddisfazione per una vendetta consumata. Niente di tutto ciò.

In realtà la Gioia è squisitamente pasquale, la stessa provata dai Discepoli di fronte ad una questione, quella di Gesù e del suo Vangelo, che il potere religioso e politico pensavano di aver sistemato, tacciandola come una bestemmia arrogante. Sì, perché questa è la posta in gioco della Pasqua: il progetto di vita e di società proposto da Gesù viene da Dio, o è frutto delle sue manie di gloria?

Analogamente, seppur su scala decisamente più ridotta, questa era la posta in gioco, quando abbiamo deciso di resistere alle trame di dom Rubival. Come poteva un vescovo, appoggiandosi ai poteri locali e sostenuto da un gruppo di preti dai trascorsi scabrosi, smantellare il faticoso cammino di una Diocesi a servizio dei poveri e degli oppressi? Cammino tracciato faticosamente da un Vescovo mite ed evangelico qual era Dom Franco Cuter.

Quando dom Rubival avviò le sue trame con il decreto episcopale del 5/08/2017, in obbedienza alle indicazioni evangeliche riguardanti la correzione fraterna, abbiamo cercato innanzitutto il confronto personale con l’interessato. Visti i suoi ripetuti e sprezzanti rifiuti in nome delle sue prerogative episcopali, abbiamo cominciato ad interpellare le varie istanze gerarchiche, ponendo queste semplicissime domande:

Può un vescovo porsi al di sopra del Vangelo, o più semplicemente al cammino della diocesi che gli è stata affidata? Se noi e il Vescovo anteriore eravamo problematici, perché non siamo stati contestati alla luce del sole, in contesti ecclesiali e trasparenti? Perché veniva usato il doppio registro: dell’elogio pubblico e dell’eliminazione sostanziale? Infine, perché non ci veniva concessa nessuna possibilità di difesa e di contraddittorio di fronte alle istanze universali della Chiesa?

Ebbene, queste erano e rimangono le uniche domande, che hanno alimentato la nostra resistenza, divenuta purtroppo la mia resistenza da quattro anni a questa parte. Da qui la scelta del titolo per questa riflessione.

Infatti, inizialmente lo shock fu devastante per la posta in gioco così alta: mai ci saremmo aspettati, che un successore degli Apostoli sconfessasse il suo predecessore, del quale eravamo i più stretti collaboratori. Eppure, nonostante la distanza geografica tra me e i miei collaboratori (io ero già in Italia…), abbiamo cercato di capire cosa stava avvenendo e abbiamo sondato tutti i possibili percorsi, in vista di un chiarimento trasparente ed ecclesiale.

Questo percorso ottenne due risultati sostanziali, seppur parziali: la consegna al vescovo di una mozione firmata da circa duemila fedeli dell’intera Diocesi e la rimozione del mio successore, dopo appena sette mesi dalla presa di possesso della parrocchia.

Purtroppo, ciò che appariva quasi un miracolo per un popolo abituato da secoli a chinare la testa, risultò ben poca cosa, di fronte alle maglie dell’autoritarismo clericale.

E fu così che il Popolo di Dio di Grajaú, seguendo quello della Diocesi di Milano, cominciò a nascondersi dietro le solite preghiere ed alla troppo comoda giustificazione, che tutto ciò in qualche modo rispondesse ad un misterioso piano divino. In realtà, nel Maranhão ci fu ancora un sussulto di orgoglio e di affetto, in occasione della mia visita nel maggio del 2019. Questo movimento portò alla denuncia dei furti simoniaci dell’allora parroco di Dom Pedro. Ma il tutto rivelava un processo inesorabile già in atto: da un lato il bisogno di manifestare il riconoscimento affettuoso nei miei confronti; dall’altro l’abbandono di ogni iniziativa ecclesiale, vista l’impermeabilità della struttura gerarchica della Chiesa. La convinzione, divenuta un dogma, era che nella Chiesa l’arbitrio di un vescovo contasse più che la Fede e la testimonianza del Popolo di Dio credente.

E così, se nel marzo del 2018 un confratello davanti a terze persone ebbe l’ardire di dirmi che ero impazzito, con molta ipocrisia gran parte dei miei confratelli si sono nascosti dietro lo slogan “si è fissato a voler tornare in Brasile”. Vittima di questo comodo pregiudizio, ogni mio interrogare veniva letto in questo cono d’ombra e cadeva nel silenzio impietoso di pensieri non detti: “Poverino, non gli passa proprio questa fissa del Brasile!”.

Così, anche quando dal settembre 2019 fino ad oggi mi sono rimesso in gioco nella Pastorale diocesana, “l’onta di aver sfidato gli dei” mi accompagna negli ambienti ecclesiastici. Gli sguardi e i silenzi risuonano delle parole degli “amici” di Gb 15,2ss: “Potrebbe il saggio rispondere con ragioni campate in aria e riempirsi il ventre di vento d’oriente? Si difende egli con parole senza costrutto e con discorsi inutili? Tu anzi distruggi la religione e abolisci la preghiera innanzi a Dio. Sì, la tua malizia suggerisce alla tua bocca e scegli il linguaggio degli astuti. Non io, ma la tua bocca ti condanna e le tue labbra attestano contro di te. Sei forse tu il primo uomo che è nato, o, prima dei monti, sei venuto al mondo? Hai avuto accesso ai segreti consigli di Dio e ti sei appropriato tu solo della sapienza? Che cosa sai tu che noi non sappiamo? Che cosa capisci che da noi non si comprenda?

Sì, in questi sei anni e mezzo le parole di Isaia troppo sono risuonate nella mia preghiera: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità… Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità?”.  

Eppure, quando ho chiesto conto del mio lavoro, ho ricevuto solo elogi e riconoscimenti, non ultima una lettera vaticana ricevuta poco prima di Natale.

Innumerevoli volte, per consolarmi, mi è stato detto, che situazioni simili alla mia accadono quotidianamente nel mondo del lavoro, o nelle strutture delle multinazionali; ma inesorabilmente un’obiezione usciva dalla mia bocca: “…Ma tra voi non deve essere così…” Mc 10,35-45.

Come era possibile che un lavoro profetico venisse cancellato da alcuni uomini di Chiesa? Se la vita evangelica non trova spazio nella Chiesa, che ne sarà dell’umanità?

Troppe volte sono risuonate nel mio cuore queste parole del Sal 142, o di altri Salmi imprecatori “…Tu conosci la mia via: nel sentiero dove cammino mi hanno teso un laccio. Guarda a destra e vedi: nessuno mi riconosce. Non c’è per me via di scampo, nessuno ha cura della mia vita…”. A volte giungevo fino alla fine del Salmo “…Fa’ uscire dal carcere la mia vita, perché io renda grazie al tuo nome; i giusti mi faranno corona quando tu mi avrai colmato di beni.”; molto spesso, invece, smettevo di pregare di fronte al silenzio, che ormai non era più solo della Chiesa, ma del Padre.

Fino al culmine raggiunto all’inizio degli Esercizi sopra citati, quando il Padre Spirituale, di fronte all’ennesimo racconto dello stillicidio ecclesiale in atto nei miei confronti, mi disse: “Ma tu Marco come fai a resistere in queste condizioni?”; di fronte al mio smarrimento per una domanda tanto imprevista, puntualizzò: “Non spaventarti! Volevo solo comunicarti la mia meraviglia per la tua persistenza nelle ostilità; ma soprattutto l’ammirazione per la tua Fede, che rafforza anche la mia. Ti ringrazio Marco”.

Due giorni dopo questo colloquio, improvvisamente come un lampo nella notte, cominciarono ad arrivare i messaggi dal Brasile con la Buona Notizia. Quasi a commento di quanto stava accadendo, nella meditazione del pomeriggio il predicatore degli Esercizi, benché all’oscuro di tutto, aveva scelto di commentare Mc 6,45-52, sottolineando come a volte il Signore scompaia improvvisamente dalla nostra vita. A noi sembra che ci abbia abbandonato in mezzo al lago in tempesta; in realtà, ci accompagna misteriosamente e riappare al crollare della nostra Fede.

Non so se era giusto che parlassi tanto di me, ma non sapevo come fare altrimenti. In realtà la mia preoccupazione principale, come ho evidenziato meglio nella finale del libro, è quella di richiamare l’urgenza di una conversione ecclesiale: se non fossi rimasto solo in questa lotta, l’esito sarebbe stato più rapido e trasparente!

Certamente il nodo più problematico, dal quale derivano gran parte dei problemi, è il clericalismo autoritario. D’altro canto, da questi brevi accenni traspare una vita comunitaria ormai abulica e insignificante. A parte il poco tempo che il cristiano medio dedica alla sua Comunità, anche questo tempo ormai viene gestito secondo logiche mondane; così che diamo per scontato il vivere tra cristiani come si vive nella società.

Purtroppo queste frasi vengono usate un po’ da tutti, soprattutto da coloro che non accettano il Magistero profetico di Papa Francesco. Pertanto, dopo aver ripetuto lo slogan, so che dovrei specificarlo meglio. Non è possibile farlo qui. Mi basti solo dire che la qualità evangelica della vita comunitaria non passa per dogmi, o affermazioni ideologiche e sguaiate dell’identità cristiana.

No. La differenza evangelica si misura sulla prassi di Gesù di Nazareth, nell’affermazione e nella difesa incondizionata della fraternità, con la conseguente opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi.

Solo così la Chiesa brillerà come Corpo di Cristo vivente nella Storia; solo se qui si cercherà di vincere ogni oppressione fin dal suo sorgere.

Buona Pasqua di Risurrezione!

                                                                                   Pe. Marco