Dovuto alle ormai inguaribili oscillazioni ondivaghe delle nostre autorità ecclesiastiche, anche riguardo ad una semplice Solennità liturgica, con l’arbitrio che domina nelle decisioni di questi tempi, anch’io, senza motivazioni logiche e teologiche, scelgo di commentare la Solennità dell’Ascensione e non le letture previste per questa Domenica “dopo l’Ascensione”…
Innanzitutto, mi sembra importante ripetere una premessa, benché per i più possa essere scontata. Questo “su e giù” del Cristo Risorto, che caratterizza questa Solennità, non deve assolutamente essere inteso in senso spaziale e geografico, quasi come un “luogo”, dove Gesù, finalmente, riposa in pace, dopo le vicissitudini terrene. Se vogliamo, i termini “cielo e terra” sono simboli, che vogliono riassumere due dimensioni, legate tra di loro, ma radicalmente diverse. In altre parole, potremmo dire che il “cielo” indica la dimensione divina, la realtà trascendente, che caratterizza l’essere e la vita della Trinità. In quanto la “terra” caratterizza la dimensione temporale, finita, umana. Ecco allora che il Figlio, che ha assunto sembianze umane in Gesù di Nazareth, ritorna in quella dimensione divina, dalla quale era venuto, però, non separandosi dalla sua umanità, bensì portandosela con sé.
Questa annotazione, circa l’umanità di Gesù Cristo, che accompagna il Figlio nel suo “tornare” al Padre, non è una semplice annotazione cronachistica, bensì un primo dato teologico-spirituale, che vorrei sottolineare. Non ogni “umanità”, ovvero non qualsiasi modo di vivere e d’intendere la vita, può entrare nella sfera divina, “nel mondo di Dio”, o se volete, nel Paradiso. Solamente l’Uomo Nuovo, visto in Gesù (che è lo stesso dell’Uomo Antico, Originario, creato dal Padre) può entrare nella comunione del Padre. Esattamente perché solo quel modo di vivere è pienamente obbediente al Padre e, quindi, capace di vivere in comunione con Lui. E come potremmo “sedere a mensa con il Padre nell’Eternità”, senza essere in comunione con Lui, senza condividerne i valori e gli ideali? La Misericordia del Padre ci offre la possibilità illimitata di convertirci e “sintonizzarci” con la Sua visione del mondo; ma finché noi non ci sintonizziamo…
Ecco, allora, che l’Ascensione, apparentemente tutta proiettata “verso il cielo”, ci ributta drammaticamente “sulla terra”, ci obbliga a fare i conti con le nostre contraddizioni, chiedendoci se realmente, esistenzialmente, Gesù di Nazareth è il nostro ideale di vita, la fonte d’ispirazione di ogni nostro agire e pensare, al di là del fatto se abbiamo “realizzato” legalisticamente alla perfezione il suo Vangelo.
Non solo, ma questo Uomo, nuovo ed antico ad un tempo, visto in Gesù, è una necessità per tutti gli esseri umani. Senza questo incontro, un essere umano rimarrà inesorabilmente incompleto. Con l’Ascensione Gesù può rendersi presente in una nuova modalità attraverso la sua Chiesa, animata dallo Spirito. In questa nuova “modalità” Gesù di Nazareth può raggiungere “gli estremi confini della Terra” e incontrare potenzialmente ogni essere umano.
In questa prospettiva diventano decisive le annotazioni di S. Paolo, tratte dalla Lettera agli Efesini, laddove l’Apostolo sottolinea come, in virtù del Battesimo, ogni cristiano viene inserito in modo, unico e singolare, in questa nuova dimensione di Gesù, che è la Chiesa. Così ogni battezzato riceve i doni e le capacità necessari, perché la Chiesa sia il Corpo vivo di Gesù, presente oggi nella storia. Ecco, questa nostra personale partecipazione al Corpo di Gesù, la Chiesa, è forse uno degli aspetti più carenti nella coscienza del cattolico comune. Certamente, più o meno tutti i battezzati hanno coscienza di appartenere ad un’entità, una specie di associazione, ad un gruppo umano, denominato Chiesa. Ma che questa sia il Corpo, ovvero la modalità con la quale oggi Gesù si rende presente, ecco, forse questo aspetto, è molto carente, per non dire totalmente assente dalla coscienza del cattolico della Messa domenicale.
Questa carenza, certamente dovuta ad una ancor più grave fragilità della predicazione ecclesiastica, fa sì che le nostre “distanze” dal modo di vivere di Gesù possano essere sì percepite come peccato, ma ancora in un senso molto legalistico: ho disubbidito ad un insegnamento/comandamento di Gesù. Ciò che invece non può essere percepito dal suddetto “cattolico domenicale” è che ogni mia distanza dal “modo di vivere” di Gesù finisce con l’oscurare Lui stesso, il Suo insegnamento, il Suo esempio. In questo modo chi è più lontano, o fuori dalla Chiesa, non può che essere inesorabilmente indotto a cercare una sua relazione con Gesù, indipendentemente ed a prescindere dalla Chiesa/Corpo di Cristo, giustamente perché “questo Corpo, le Sue membra” sono troppo dissociate dal Capo, Cristo.
A questo riguardo vorrei fare una sottolineatura del tutto personale. Infatti è dentro questo quadro, appena descritto, che mi è del tutto incomprensibile la grande difficoltà che riscontro nella Chiesa nel confrontarsi a partire dalla prassi di Gesù. Purtroppo, alla luce delle mie vicende personali, riscontro una grande paura di affondare la riflessione sulle questioni più scottanti, tenendo come riferimento, solamente e semplicemente, l’insegnamento di Gesù. Invece, quasi sempre, mi sento ripetere che le questioni e gli interrogativi che pongo sono legittimi, ma il nostro costume ecclesiale, la nostra prassi consolidata ci impedisce di andare in modo serrato a questo confronto semplicemente evangelico. Addirittura cominciano ad arrivarmi messaggi ed inviti non troppo subliminali “a perdonare” il vescovo di Grajaú, perché tutti possiamo essere liberati da questo peso insopportabile, dell’essere obbligati da me a fare i conti con le nostre scandalose incoerenze ecclesiali.
In questo modo si sta avviando un processo di colpevolizzazione, con il quale s’identifica la passione per il bene della Chiesa con l’incapacità di perdonare e dimenticare le offese. Ovvero, come ho avuto modo di scrivere all’Arcivescovo, siamo arrivati al paradosso che “la fame e la sete per la giustizia” non è più una Beatitudine per buona parte della Chiesa, bensì una malattia dell’anima, per non dire della psiche…
Ma, finché ci gloriamo di presentarci al mondo come “cristiani”, la tensione a conformarci all’Uomo perfetto, Cristo Gesù, non può essere un optional.
Pe. Marco