Per questa riflessione vorrei soffermarmi soprattutto sul testo autobiografico di Paolo, tratto dagli Atti degli Apostoli; anche perché è una delle incarnazioni più profonde delle parole di Gesù, contenute nel Vangelo di oggi: “Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”.
Ciò che richiama l’attenzione è il carattere ineluttabile, incontenibile delle vicende di Paolo. Scorrendo la sua narrazione si avverte che lui non ha fatto niente per calcolo, o come conclusione di qualche sillogismo logico. Chi agisce secondo questi canoni difficilmente recede dalle sue posizioni, o può cambiare la sua visione della realtà. Invece il nostro nella Seconda Lettera ai Corinzi dirà: “La Carità di Cristo ci spinge, ci trascina irresistibilmente…”. Ma questa Carità poté incarnarsi nella vita di Paolo giustamente perché la sua vita era animata da queste passioni totalizzanti. Ovviamente noi, adesso, con il senno di poi, possiamo dire che la sua passione per la Verità aveva intrapreso percorsi pericolosi e violenti. Purtroppo è il rischio inevitabile che ogni essere umano corre, quando cerca la Verità e la Giustizia con tutto il cuore. Proprio perché queste due realtà non ci appartengono, non sono proprietà nostra, per questo stesso motivo, nel nostro inseguirle, possiamo prendere “lucciole, per lanterne”; ma questa possibilità d’errare non appartiene agli uni piuttosto che agli altri; questa possibilità è intrinseca alla nostra realtà umana finita e, per ciò stesso, fallace.
L’unica differenza sostanziale è che, quanto maggiore è la passione per la Verità, maggiore può essere la possibilità d’errore.
Ed è esattamente ciò che abbiamo visto in Paolo. Paolo non perseguitava i cristiani, perché era un sadico perverso, avvezzo alla violenza. Come egli testimonia molto bene in questo testo, egli è mosso innanzitutto da una passione totalizzante per il Signore, Dio dei Patriarchi. A Lui egli ha donato la sua vita fin dalla giovinezza. Parafrasando un altro grande testimone biblico, Geremia, possiamo dire che Paolo “nella sua giovinezza non ha perso tempo con i bontemponi sulle piazze” di Tarso. Lui ha speso gli anni migliori della sua giovinezza per studiare la Torah e cercare di capire questo grande Mistero, che chiamiamo Dio. Ma nell’insondabilità di questo Mistero, Paolo ne ha percepito e vissuto la dimensione fondamentale: questo Mistero è la ragione del nostro esistere, del nostro vivere e morire. Non a caso, dopo anni di evangelizzazione, dirà ai Filippesi: “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno” Fil 1,21.
Per questo motivo ho sempre fatto molta fatica ad accettare le presentazioni della figura di Paolo quasi fosse una personalità schizofrenica, che prima fa una cosa e poi fa esattamente il contrario. Anche in questo caso, questa lettura ideologica e astorica finisce per collocare Paolo in un empireo, totalmente staccato dalla nostra realtà umana. Invece, a me pare importante percepire come anche il “primo” Paolo è una figura estremamente significativa, umanamente appassionante; a maggior ragione in questa nostra epoca, caratterizzata da continue fluidità e dai contorni perennemente indefiniti; laddove chi osa dire “questo è e quello non è” viene automaticamente tacciato di dogmatismo e intransigenza.
Ma il Signore, per fortuna, non è “politicamente corretto”, tanto meno si adegua alle nostre pusillanimità. Lui sa bene ciò che ha fatto creando Paolo e lo valorizza proprio nella sua dimensione più caratteristica e più personale: la sua passione totalizzante per la Verità e per la Giustizia. Solo un uomo così poteva sfidare l’intera Chiesa nascente, per portare alle estreme conseguenze il Vangelo: se il Verbo si è veramente incarnato in Gesù, non poteva fare una cosa del genere solo per beneficiare un popolo, i Giudei; questo dono incommensurabile è per tutti gli uomini e tutte le donne. “Egli, Gesù, infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo… per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace” Ef 2,14-15.
Ecco allora che possiamo riconoscere nella vicenda di Paolo un’anticipazione di ciò che dirà, qualche secolo dopo, S. Agostino, altro grande convertito: “Tu, o Dio, hai fatto il nostro cuore per Te. Per questo motivo non ha pace finché non incontra Te”. Vivere fino in fondo ciò che riconosciamo come ideali, può portare a qualche eccesso, o addirittura errore. Ma, se la nostra dedizione è sincera, il Signore saprà Lui ricondurre a servizio del Regno la nostra passione.
In questa nostra epoca, schiacciata sulla necessità di avere una gratificazione immediata in tutto ciò che fa, S. Paolo ci dice che Gesù ha bisogno di uomini e donne, che cerchino e vivano fino in fondo la Verità e la Giustizia in tutto ciò che fanno. Solo così potranno incontrare e far incontrare ad altri il Signore di tutti, Gesù.
Pe. Marco