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A noi ambrosiani non può passare inosservata questa provvidenziale coincidenza, che ci fa leggere la purificazione del Tempio, operata da Gesù (Mt 21,10-17), nel bel mezzo del cosiddetto “scandalo Becciu”. A onor del vero, per questa volta, devo ringraziare i liturgisti, che ci fanno vivere la Festa della Dedicazione del Duomo alla luce di questo bel brano di Vangelo.

Per poter cogliere il senso e la potenza del gesto di Gesù, occorre riandare al carattere fortemente simbolico di questo gesto. Contrariamente a ciò che continuiamo a credere, per Gesù non sono le mura e le colonne del Tempio l’oggetto della profanazione, della contaminazione. Ovvero, i muri ed i pilastri non sono né puri, né impuri. Chi invece può esserlo sono coloro che frequentano questo luogo. In altre parole, chi frequenta un luogo del genere può diventare santo, o peccatore, a seconda di cosa fa dentro il Tempio.

E ciò non vale solo nei riguardi del denaro…

 

Ma, per rimanere sul tema di oggi, l’associare attività commerciali/fede religiosa è ciò che scatena letteralmente l’ira di Gesù, fino al punto da compiere l’unico gesto violento ricordato dall’Evangelo. Ciò significa che per Gesù questa associazione fede-denaro, è la più grande minaccia per la Fede stessa. Per chi ha un minimo di dimestichezza con il Vangelo questa affermazione non dovrebbe destare nessuna meraviglia. Infatti, noi tutti ricordiamo la radicale alternativa posta da Gesù tra la logica del Regno di Dio e quella del denaro: “Non potete servire al Signore e a mammona” Mt 6,24.

Innanzitutto, è bene ribadire che anche questo gesto molto violento non vuol significare una condanna del denaro e del commercio in sé e per sé. L’inganno, che Gesù vuole smascherare, è questo connubio perverso tra la fede ed il denaro, benché nel Vangelo di oggi la posta in gioco sia alquanto irrisoria. Ma il caso Becciu c’insegna che l’insidia è sempre alle porte della Chiesa…

Ma dove sta concretamente l’insidia? Sta nel fatto che si usi l’ambito religioso per far fiorire i propri affari. Detta in altre parole, la trappola consiste nel fatto che associare i propri affari a qualche ambito, o simbolo religioso, significa in qualche modo associarli con il divino, rivestirli di una sorta di benedizione divina. La stessa dinamica succede, quando il potere cerca di rivestirsi di simboli religiosi, o cerca di collegarsi a qualche figura religiosa; in tal modo cerca simbolicamente di attribuirsi una qualche benevolenza, o benedizione divina. È chiaro che, così facendo, sia il potere politico, che quello economico, vogliono far passare l’idea di avere un feeling con il divino, attribuendosi la benedizione di Dio.
Ne risulta che gli interlocutori, siano essi dei clienti, o degli elettori, tenderanno ad essere più disponibili e recettivi nei riguardi di chi è rivestito di tale aurea religiosa. Ma tutto ciò è gravissimo, perché vengono invertite le parti. Ovvero, queste realtà umane, siano esse dei commercianti, piuttosto che delle autorità, invece di porsi a servizio di Dio, come è giusto che sia, invece si servono di Lui, lo manipolano per realizzare i propri interessi. Qui sta il peccato grave, contro il quale anche il Gran Poeta scriverà versi memorabili.
Se ripercorriamo con la nostra memoria storica quanto male ha fatto alla Chiesa questa perversione, non dovremmo meravigliarci della veemenza con la quale Gesù si scaglia. Anzi, forse, avrebbe dovuto essere ancora più duro.
Detto ciò, vorrei però soffermarmi brevemente su di un dettaglio a mio avviso non irrilevante. Ovvero, senza nulla togliere alle gravissime responsabilità che abbiamo noi consacrati, quando trattiamo ancora con spregiudicatezza i beni economici, magari anche per fini personali, o familiari, ciò nonostante vorrei far notare come la questione del denaro è certamente la questione decisiva, sulla quale la Chiesa nel suo insieme è stata più infedele all’Evangelo.
Infatti, nonostante il severo ammonimento di Gesù sopra citato, ciò nonostante fin dagli inizi, ovvero fin dai casi di Anania e Saffira, fin dal caso di Simon Mago, anche la prima comunità cristiana ha fatto fatica a sottomettere i beni economici alla logica evangelica.

Fin dall’inizio l’Adamo, che è in ciascuno di noi, è riemerso con la sua presuntuosa ingenuità di poter gestire questa belva senza alcun problema. Ma spesso nella vita le ingenuità si pagano drammaticamente.
Su questo punto delle ricchezze non ho remore nell’affermare che il prezzo che stiamo pagando come Chiesa è veramente grande. Dico questo non tanto e non solo pensando alla questione della simonia, che, Becciu a parte, non è poi così diffusa nella Chiesa. Invece, se andiamo a vedere gli standard di vita dei battezzati, penso che costateremmo una sostanziale omogeneità tra laici e clero, per quanto riguarda l’uso dei soldi. Anzi, probabilmente constateremmo che i cristiani più ricchi non appartengono certamente al clero.

Ora, è bene ricordare che tutti i detti di Gesù riguardanti l’uso dei beni economici sono destinati a tutti i suoi discepoli e non soltanto alle persone consacrate. Pertanto, mi irritano alquanto quei cristiani della medio-alta borghesia, quando pretendono sentenziare sulle ricchezze del Vaticano ed il lusso dei prelati.
Ancora una volta dobbiamo rispolverare le parole profetiche di Papa Francesco, pronunciate all’inizio del suo pontificato: “Sogno una Chiesa povera per i poveri”. La questione della povertà nello Spirito, la prima Beatitudine, riguarda l’intero Popolo di Dio, consacrati e laici insieme. Come succede con i politici, allo stesso modo non possiamo sperare di avere dei consacrati integerrimi sul tema della povertà, quando per la stragrande maggioranza dei battezzati questo problema non sussiste. Fintanto che la maggioranza dei battezzati continuerà a difendere con le unghie e con i denti il diritto illimitato alla proprietà privata, allora possiamo metterci il cuore in pace e togliere dalla lista delle Beatitudini la prima, ovvero la più importante. Senza dimenticare, però, il famoso aforisma di S. Francesco d’Assisi: “Nessuno s’illuda di entrare nell’Evangelo, senza passare per la porta di madama Povertà”.

Mentre assistiamo al tracollo inesorabile di un’economia tutta costruita sul dogma della proprietà privata e dell’accumulo illimitato dei beni, chiediamo al Signore il coraggio stare davanti a questa prima Beatitudine, perché possa convertirci all’Evangelo.

Pe Marco