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Meditando su queste letture, per preparare questa piccola riflessione, mi sono ritrovato a rileggerle da due punti di vista ben diversi, forse persino alternativi. Soprattutto il testo di Romani ha fatto riaffiorare in me antiche e mai sedate prospettive razionaliste, tipicamente europee. In particolare, la tentazione era quella di focalizzarsi sulla dimensione intellettuale della fede e sulla difficoltà del credere, soprattutto nell’esistenza o meno di Dio. Così Abramo si stagliava come l’uomo di fede per eccellenza, fino a sfiorare il fideismo. E allora la porta stretta diventava la fatica della ragione nel compiere il cosiddetto atto di fede. Quante ore di Teologia Fondamentale passate su queste questioni! Grazie a Dio la Vita con i suoi drammi e le sue sfide si è riappropriata anche di questa parte della mia razionalità…

Queste questioni, però, sono estranee all’uomo biblico; per lui l’esistenza di Dio non è un problema e non è in dubbio. In realtà, la fede di Abramo, tanto enfatizzata da S. Paolo, è la fiducia, l’affidarsi di Abramo alla chiamata di JHWH, che gli chiede concretamente, storicamente, di fare dei passi e delle scelte umanamente non immediate e non del tutto comprensibili. Pertanto Abramo, pur sfidando il senso comune e, forse anche, un certo buon senso, si fida di JHWH e con Lui affronta le sfide che gli pone innanzi.
Su questa falsariga spirituale dobbiamo rileggere il testo evangelico. La porta stretta indicata da Gesù non è, come spesso si è detto, quella dose, necessaria e sufficiente, di sacrifici e rinunce da fare per andare in Paradiso. Ancora oggi, soprattutto nel mio caro Maranhão, è molto presente l’idea che il Signore si commuove per noi, se ci vede fare dei sacrifici per Lui. Qualsiasi tipo di sacrificio. L’importante è fargli vedere che stiamo soffrendo e non solo godendo della vita. Che tragedia, che distorsione del Vangelo della Vita!

In realtà Gesù è un grande amante della Vita, in tutti i suoi aspetti e le sue dimensioni. E proprio perché la ama e non vuole che la sprechiamo, Egli è venuto ad insegnarci a vivere in pienezza, perché scoprissimo il senso profondo della Vita. E la Vita ha senso se diventa il Regno di Dio; se il Regno di Dio, con i suoi valori ed i suoi principi, la innerva e la corrobora.
Ecco allora che questa “porta stretta” non è altro che la grande difficoltà nel credere e vivere nell’ottica del Regno di Dio, dove l’altrui e propria vita si arricchiscono di senso se spese nel dono di sé, nel donarsi al servizio del Bene “dell’altro/a”. Gesù, ben conscio del nostro viscerale narcisismo e del nostro ancestrale egoismo, ci chiede con forza di fidarci ed affidarci a questa logica alternativa, che Lui ci sta indicando.
Questo lavoro richiede una forte tensione spirituale ed una costante revisione dei modelli culturali dominanti alla luce del Vangelo. Purtroppo il “così fan tutti”, o il lasciarsi guidare dagli istinti e dalle emozioni più immediate, significa consegnarsi inesorabilmente ai detentori del potere ed ai loro strumenti di manipolazione delle masse. Resistere a queste forze, oscure e devastanti, oggi più che mai richiede una vera e propria ascesi etica e spirituale.
In ogni caso, smentendo le solite immagini di Gesù, sdolcinate ed edulcorate, Lui stesso ci avvisa inequivocabilmente che, ci piaccia o meno, la Salvezza è per coloro che avranno creduto e vissuto nella prospettiva del Regno, consapevolmente, ma anche inconsapevolmente. Mentre invece, per coloro che “mangiano e bevono il suo Corpo e il suo Sangue ed ascoltano la Sua Parola”, ma non condividono questa Sua logica di vita, ebbene per costoro vi potrà essere solo la dannazione del vivere lontano da Lui, il Signore della Vita.
Peccato che la maggior parte dei battezzati non si renda conto di come questo inferno è presente già su questa terra, nel nostro vivere quotidiano, a causa della nostra mancanza di fiducia nelle parole e nelle proposte di Gesù.

Pe.Marco