Che cosa sostiene il testimone fino al martirio?

A margine di Is 60,16b-22; 1Cor 15,17-28; Gv 5,19-24

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Certamente non è facile cogliere la “ratio”, che sta dietro alla scelta di queste letture, così da poter evidenziare l’armonia ed i legami interni ai tre testi. Senza alcuna pretesa di verità e di esaustività, a me pare che vogliano rispondere alla domanda: che cosa, quali certezze sostengono la fede del testimone/martire, al punto di consegnare la sua vita totalmente al Signore Gesù, fino alla rinuncia della sua propria vita fisica? Io evidenzierei questa domanda, esattamente perché siamo nella Seconda Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni Battista.

Lasciandoci quindi guidare da questa domanda, possiamo percepire che già la prima lettura vuole evidenziare come il dono di Dio sorpassa le nostre attese. Ecco quindi che il martire è colui, che prende a serio queste promesse di Dio, non le considera come espedienti della letteratura religiosa; di conseguenza orienta le sue scelta sulla certezza, che le promesse divine hanno un fondamento di verità. In questa luce possiamo allora percepire immediatamente il senso del testo della Prima Lettera ai Corinzi. Queste promesse di Dio, in Gesù Cristo, escono dalla genericità ed acquistano un volto ben preciso; hanno cioè i tratti della Risurrezione. Paolo, con la sua caratteristica efficacia, ci dice: “Se Cristo non è Risorto, vana è la vostra fede… come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo”. Ecco quindi, che la certezza di poter partecipare al destino di Cristo, alla Sua morte, ma soprattutto alla Sua Risurrezione, danno al cristiano autentico la forza per relativizzare qualsiasi altra proposta o progetto, che possa allontanarlo da questo legame con Gesù.
Ma sarà S. Giovanni, nella pericope evangelica, a radicalizzare questo approfondimento di Paolo. Infatti, con la sua “escatologia anticipata”, Giovanni fa dire categoricamente a Gesù: “chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”. Certamente questo versetto è uno di quelli che esprimono meglio e più radicalmente il Mistero Cristologico e la nostra relazione con lui.
L’esito e il destino della nostra vita non si decide dopo la morte fisica; si decide in questo confronto/decisione su Gesù. L’entrare o lo star fuori dalla Vita Eterna dipende da quanto abbiamo riconosciuto ed assunto nella nostra vita, il fatto che Lui, Gesù, è la Vita Eterna, la Vita vera “uscita dal Padre”. Conseguentemente abbiamo deciso di non avere altro criterio di verità, altro criterio di vita, se non Gesù di Nazareth e la sua prassi perennemente destabilizzante.
Orbene ogni martirio, ogni martire nasce da questa opzione radicale. Anzi questa opzione, nel momento in cui si traduce in scelte quotidiane e concrete, è già un martirio, perché porta a far morire continuamente tutte le altre pseudo salvezze, tutte le promesse di redenzione e felicità, fondate su criteri e scelte diverse da quelle di Gesù. Questa lotta spirituale è la radice e la linfa al tempo stesso, che sostiene e anima tutti i testimoni del Vangelo.
Ancora una volta, a causa della nostra finitezza e fragilità, non possiamo non invocare l’importanza del discernimento spirituale, per saper riconoscere, a partire da Gesù, ciò che è autentico, buono e giusto nella nostra vita e ciò che è pervaso e sedotto dalle pseudo verità, dall’egoismo, dal narcisismo, dalla sete di gloria e di potere.

d. Marco