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Questa mia riflessione vuole intenzionalmente partire dal versetto del Vangelo di Matteo, che ho scelto anche come titolo della riflessione. Come avrete notato, ho ripristinato la versione anteriore alla traduzione, che verrà letta nelle Messe. Infatti la “vecchia” versione, nella sua ambiguità (ma alla fine, chi e che cosa dobbiamo dar da mangiare?), ebbene questa ambiguità mi pare che rifletta meglio la provocazione che Gesù rivolge ai discepoli, di ieri e di oggi. La bellezza di questi testi delle moltiplicazioni dei pani e dei pesci sta tutta in quella loro ambiguità, il loro “entrare ed uscire” tra il problema della fame e la celebrazione eucaristica.
Innanzitutto vorrei sottolineare un pericolo nel commentare questo Vangelo, che lo riassumerei così: annullare il problema della fame dentro il Mistero eucaristico; ovvero, mi pare molto fuorviante una lettura che dica: “Ecco Gesù ha fatto il miracolo, per avere un pretesto per parlare del Pane Vero, quello che ci alimenta eternamente: l’Eucaristia”. Invece, come sempre succede, Gesù prende sul serio la nostra vita terrena, molto più di quanto, a volte, la prendiamo noi. Troppo spesso noi non ci confrontiamo pienamente con essa, per parlare affrettatamente dell’Altra Vita, quella dopo la morte. Invece Gesù, ancora una volta, di fronte ad un problema, reale e fondato, si mette in gioco, fa la Sua parte; ma, ancora una volta, Egli, prima di mettersi in gioco, testa la disponibilità ed il coinvolgimento dei discepoli. A questo riguardo mi preme sottolineare il senso della scelta del titolo. Infatti, l’antica traduzione qui riportata, rispetto a quella che verrà letta in Chiesa, ci dice che Gesù non chiede semplicemente ai discepoli di “fare i camerieri”, o i ministri dell’Eucaristia; infatti, mentre chiede loro di rendersi disponibili a distribuire il pane, al tempo stesso chiede loro di offrire, donare sé stessi assieme a quel pane.
Pertanto, non basta dire che Gesù chiede la collaborazione dei discepoli, per poter compiere il miracolo. No, qui la questione è molto più profonda. Anzi, in questo invito di Gesù sta il senso profondo della Celebrazione Eucaristica. Infatti, se teniamo presente da dove il tutto è nato, ovvero dalla proposta: “Congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”; ecco che Gesù non accetta questa falsa compassione (Obblighiamoli a rimanere nelle loro terre. Perché preoccuparsi di accoglierli da noi?!). Anzi, non solo rifiuta questa proposta, ma mostra anche la via d’uscita da questa problema: trasformare le nostre vite ego-centriche, ego-centrate, in “vite, esistenze eucaristiche”.
Ma cos’è una vita eucaristica? Sarà forse il partecipare alla Messa tutti i giorni, o il fare l’Adorazione Eucaristica tutte le settimane? Anche, se però questi atti di culto scatenano in noi lo stesso dinamismo, lo stesso donarsi di Gesù, nei riguardi di chi è più povero e indigente. Una vita eucaristica, allora, va ben oltre l’offerta fatta in Chiesa, o l’euro dato al barbone, perché smetta d’implorarmi. Una vita eucaristica rimanda alla totalità della nostra vita. Ovvero come io vivo? Quali sono le mie priorità? Tolto ciò che serve a me, o a chi mi è stato affidato, per vivere con dignità, cosa ne faccio del mio tempo, dei miei talenti, dei miei soldi? Li metto a servizio di chi sta peggio di me, o…? E sì, purtroppo, nonostante tutti i nostri stratagemmi per aggirare, o evadere questa domanda, l’ordine, pronunciato oggi da Gesù: “Date loro voi stessi da mangiare!”, ci obbliga a fare i conti con queste domande; tenendo conto che il rispondervi, non è questione di buona educazione, o segno di obbedienza a Gesù. È molto di più. Infatti, solo da questa trasformazione eucaristica delle nostre vite potrà venire la risposta alla fame nel mondo e, più in generale, ai problemi dell’umanità.
A partire da questa prospettiva eucaristica possiamo meglio capire il senso delle altre due letture. In particolare la prima rivela come questa ossessione per il superfluo (hanno già il necessario per tutti i giorni: la manna), finirà per ritorcersi su di loro. Infatti, al di là del linguaggio biblico, che deve far discendere tutto direttamente dall’azione divina, il senso di quell’evento è che l’ossessione per il benessere materiale, il pensare che l’aumento di beni produca, di per sé, il miglioramento della qualità della vita, ebbene tutto ciò è mera illusione, è il maggior inganno della vita. Anzi, l’accumulo del superfluo sarà la causa del malessere d’Israele e, ancor più, del nostro malessere.
Il tutto, se possibile, è ancor più aggravato dal testo della Lettera ai Corinti, che potremmo tranquillamente parafrasare, più o meno così: tutti andavano in Chiesa, tutti furono battezzati, tutti ricevevano l’Eucaristia, tutti facevano l’Adorazione Eucaristica; ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio, perché pensavano solo a sedersi a mangiare ed a divertirsi; facevano splendidi viaggi e rifacevano il guardaroba tutti gli anni, ma non avevano posto nelle loro case e nel loro cuore, per i poveri, che stavano a tutti i crocicchi delle loro strade.
Forse l’invito di Gesù: “Date loro voi stessi da mangiare” è più urgente oggi che allora…

Pe. Marco