Ingredienti:
Il kiribath è composto da: riso a grano corto (spesso bianco o rosso), latte di cocco denso, sale.
A volte vengono aggiunti ingredienti come sesamo, o anacardi.
Preparazione:
Il riso viene cotto fino a diventare morbido e appiccicoso; poi viene pressato in una teglia e tagliato in forme geometriche, solitamente rombi, o quadrati.
Kiribath: un abbraccio di riso e cocco, tra sacro e quotidiano
Il kiribath, che letteralmente significa “riso al latte”, non è solo un piatto, è una carezza dell’anima, un sapore che attraversa generazioni, una presenza silenziosa, ma potente in ogni momento importante della vita in Sri Lanka. Preparato con
riso cotto nel latte di cocco, fino a ottenere una consistenza cremosa e compatta, ricorda qualcosa tra una torta di riso e un budino, ma ha in sé un valore molto più profondo:
è il simbolo dei nuovi inizi, della benedizione e dell’unione.
La leggenda narra che, prima di raggiungere l’illuminazione, il Buddha Gautama ricevette proprio del kiribath da una donna di nome Sujata, mentre meditava sotto l’albero
della Bodhi. Quel gesto di offerta è ancora oggi rievocato in ogni casa, quando si prepara questo piatto con devozione.
Ogni primo giorno del mese, in molte famiglie cingalesi, il kiribath è il primo cibo che si consuma al mattino. Ma è durante il Capodanno cingalese e tamil, ad aprile, che
assume il suo significato più intenso: la donna della casa accende il fuoco, sceglie con cura il riso – bianco o rosso – e lo cuoce nel latte di cocco, mescolandolo con calma,
con amore. Una porzione viene offerta a Buddha e agli dei; il resto è condiviso con tutta la famiglia, come segno di speranza, prosperità e coesione.
Ricordo ancora il mio matrimonio: prima di andare in chiesa, mia madre mi ha imboccato con una piccola porzione di kiribath. Era il suo modo di benedirmi, di dirmi “ti
accompagno anche in questo nuovo viaggio”. In quel gesto c’era tutto: l’amore, la tradizione, la memoria.
Anche nei momenti più difficili, il kiribath è stato lì. Il giorno dopo il funerale di mio padre, secondo la nostra usanza, abbiamo celebrato una Messa e poi, a casa, abbiamo
cucinato kiribath, per offrirlo a chi veniva a salutarci. In quel sapore c’era conforto, un silenzioso “grazie” alla vita, anche nel dolore.
Il kiribath non è solo cibo. È un rituale che lega le generazioni, un gesto d’amore, che non ha bisogno di parole.

