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Le letture di questa domenica c’invitano a riflettere su di un tema centrale per la nostra fede, benché attualmente un poco marginalizzato, a causa di qualche fraintendimento. Stiamo parlando del tema dell’Umanità Nuova, o forse sarebbe meglio dire dell’Umanità Originaria, quella che JHWH aveva sognato, quando ci creò.
In questo famoso brano evangelico del colloquio tra Gesù e Nicodemo, Gesù cerca di fargli capire che, chiunque voglia accedere al Regno di Dio, voglia farne parte, deve “rinascere dall’Alto”; ovvero deve entrare in questo processo di conversione, di cambiamento radicale del cuore e della mente, per guardare e giudicare la realtà alla luce dello Spirito. Innanzitutto, ancora una volta, la prima attenzione da avere è, a questo punto, non “volare verso l’Alto”, per parlare di cose e realtà, che la nostra immaginazione religiosa proietta oltre la morte. Infatti, Gesù in questo discorso con Nicodemo sta facendo esattamente il percorso inverso. Ovvero vuole portarlo a guardare la vita concreta, storica guidato dallo Spirito, quello stesso Spirito Santo, che ha guidato in tutto e per tutto la missione di Gesù.
Ecco allora che abbiamo qui un criterio storico-esistenziale ben preciso, per capire “cosa dice e cosa fa” lo Spirito nel nostro cuore, per quali sentieri ci conduce: lo Spirito “sa fare” solo e semplicemente ciò che ha fatto in Gesù; in altre parole ci conduce a fare le scelte e le opzioni realizzate da Gesù. Queste osservazioni potrebbero apparire troppo semplicistiche, o estremamente radicali, a seconda di quali sono i nostri presupposti religiosi. In ogni caso, questo è quanto succede nell’interazione tra il credente e lo Spirito. Probabilmente, se prendessimo a serio questa premessa fondamentale della nostra fede, penso che avremmo abbondantemente esaurito il compito pastorale della Chiesa. In altre parole, la Chiesa, la Comunità cristiana dovrebbe innanzitutto lasciarsi guidare da questa domanda fondamentale: in questa “realtà”, in cui ci troviamo, come agirebbe Gesù, cosa farebbe Gesù? Ciò ci porterebbe, inesorabilmente, nonostante la nostra grande fallibilità, a lasciarci guidare dallo Spirito. Conseguentemente questo agire come Gesù ci farebbe riconoscere effettivamente come i suoi discepoli.
Si noti che questo dinamismo, per essere realmente cristiano, ovvero della Chiesa di Gesù, deve essere fatto come Comunità. In altre parole non basta semplicemente prendere il Vangelo, isolarsi nella propria camera e decidere in solitudine cosa lo Spirito dice e chiede alla sua Chiesa. Indubbiamente in questo processo ci sono dei livelli e dei risvolti assolutamente personali e vocazionali, ma questo livello personale della nostra relazione con lo Spirito deve sempre confrontarsi ed interagire con il livello comunitario ed ecclesiale.
Pur sapendo che queste riflessioni appariranno ai più come molto astratte e generiche, perché lontane dal nostro devozionalismo dominante, ciò nonostante vorrei provare ad approfondire un poco cosa significhi “agire come Gesù”, o “agire secondo lo Spirito”. In questo senso credo che il realismo di Isaia possa esserci di aiuto. E così scopriamo che l’agire spirituale, nel senso rigorosamente biblico, è estremamente concreto e terreno. Infatti Isaia, dopo aver detto che “lo Spirito farà fiorire il deserto”, specifica anche che questa fioritura avverrà quando “Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace”.
Certamente, al di là di queste affermazioni, che ci indicano il cammino, l’esercizio storico-concreto di identificare il Diritto e la Giustizia è cosa alquanto ardua e laboriosa, soprattutto se si cerca comunitariamente, ecclesialmente di compiere questo processo. D’altro canto penso sia evidente quale beneficio porterebbe alla Pace il fatto che noi, i cristiani, gli uomini e le donne dello Spirito di Gesù, avessimo più “fame e sete di Giustizia”, che del nostro interesse e benessere personale, o famigliare!
Certamente noi possiamo nasconderci dietro il pretesto che, in fin dei conti, i cristiani sono una minoranza sulla faccia della Terra; molte altre religioni e culture ci circondano. Pertanto non possiamo garantire il prevalere dello Spirito di Gesù. In realtà sappiamo per esperienza che “gli affamati e gli assetati della Giustizia” non si trovano solo tra i cristiani; anzi, molte volte succede esattamente il contrario. Infatti, non di rado, le nostre Comunità cristiane proclamano liturgicamente questi valori evangelici, aspettandosi magicamente che vengano concretizzati da una non ben definita azione dello Spirito, attraverso la pratica sacramentale; ma poi, concretamente, non c’è nessun percorso comunitario per riconoscere e praticare il Diritto e la Giustizia.
Purtroppo questa traduzione pratica è affidata, quasi totalmente, all’intuizione personale. Con l’inevitabile conseguenza che due fratelli nella fede, due membri della stessa Comunità cristiana possano partecipare della stessa Eucaristia domenicale, per poi uscire dalla Chiesa e fare scelte sociali esattamente antitetiche. Quale contributo alla Pace può dare una Chiesa così evangelicamente indefinita e contraddittoria? Invece quale “città sul monte” sarebbe una Chiesa, composta da discepoli totalmente ed unanimemente protesi nel discernere e praticare il Diritto e la Giustizia, per ogni Figlio di Dio, che vive su questa Terra?

Pe. Marco