
Quest’anno, mentre ci stiamo preparando alla grande Festa di Pentecoste, la Festa delle Genti, abbiamo celebrato il 5 giugno la memoria di San Bonifacio, il grande monaco inglese, martire, battezzatore dei popoli germanici. Per chi ne avesse l’opportunità, la sua tomba può essere visitata nell’abbazia di Fulda in Germania. Meditando sui due eventi, molte suggestioni mi sono venute alla mente. Provo a condividere le più importanti.
Partirei dal significato profondo della Pentecoste. Il famoso brano di At 2,1-12, tra le altre cose, ci dice soprattutto di come il mistero di Gesù di Nazareth, uomo ebreo, incarnazione del Verbo del Padre, ovvero traduzione umana della Parola del Padre, possa essere tradotto e compreso in lingue diverse dall’aramaico, la lingua di Gesù.
Solo a mo’ d’inciso, vorrei far notare la radicale differenza dall’Islam, che nella sua forma più pura può essere proclamato solo in arabo ed esige l’apprendimento dell’arabo…
Invece il testo di Atti, al di là della latinizzazione avvenuta in seguito, afferma esattamente il “miracolo” contrario: ovvero la vicenda salvifica di Gesù di Nazareth non è vincolata ad una lingua, bensì può essere trascritta ed incarnata in ogni lingua. Come ben sappiamo, quando diciamo lingua non intendiamo semplicemente la questione fonetica, o grafica, che può variare da un popolo all’altro. Nella lingua di un popolo sono racchiusi i segreti della sua cultura, della sua morale, della sua cucina, della sua economia. In una parola possiamo dire che la lingua esprime la cosmovisione, la visione del mondo di un popolo.
Dunque, se la Storia della Salvezza ha fatto sì che il figlio di Dio “prendesse carne” in un uomo del giudaismo aramaico, per la forza dello Spirito Santo la sua cosmovisione, il suo modo di vivere e di pensare può essere tradotto, capito, vissuto in qualsiasi lingua/cultura. La conseguenza immediata di tutto ciò è che nessuna lingua/cultura è più o meno cristiana di un’altra. Pertanto non esiste una filosofia, o peggio ancora una teologia, più adatta ad esprimere il Vangelo. E, se noi ancora pensiamo il contrario, è solo perché il Vangelo l’abbiamo sempre e solo letto dentro una cultura ben precisa: quella latina occidentale.
Da qui tutte le nostre difficoltà a vivere il Vangelo con questi nostri fratelli “venuti dalla fine del mondo”. Non ultimo Papa Francesco…
Mentre vi scrivo queste quattro bazzecole, io stesso mi accorgo della preziosità della Pastorale dei migranti, nonostante le resistenze che incontro quotidianamente. Perché anche la Chiesa ambrosiana, lecchese, è chiamata ad essere Chiesa dalle Genti. Quindi, non una Chiesa che riesce ad assimilare le Genti venute da lontano, bensì una nuova Chiesa frutto della reciproca contaminazione di tutte le Genti che la frequentano.
Detto ciò, qualche lettore particolarmente attento si sarà chiesto: “Ma in tutto ciò cosa c’entra San Bonifacio, evangelizzatore dei Sassoni?”.
Fermo restando la sua indubitabile santità ed il suo ancor più inconfutabile martirio, mi pare che San Bonifacio, come altri nei riguardi dei Franchi, dei Celti, degli indigeni americani ecc…, sia l’emblema di quanto sia pericoloso battezzare un popolo, senza prima averlo evangelizzato. Dico ciò, non tanto in riferimento al suo martirio, quanto alla drammatica secolarizzazione dell’Europa centrale, che è certamente frutto di molteplici fattori, ma anche di un’evangelizzazione molto approssimativa. Per chi avesse tempo e voglia, raccomando la lettura di qualche testimonianza dell’epoca, riguardante i battesimi di massa operati da San Bonifacio&company.
Quando si fanno queste annotazioni, non si vuole minimamente mettere in dubbio la buona fede del missionario: tutt’altro! Ciò non toglie che nel suo caso, come in quello di molti missionari contemporanei, se l’annuncio del Vangelo non è inserito in una lettura critica della realtà, può portare sì alla santità del missionario, ma non produce ciò che Paolo VI aveva indicato in Evangelii Nuntiandi “liberare tutto l’uomo e gli uomini tutti”.
La Chiesa di San Bonifacio è la Chiesa del VII-VIII, che avendo dovuto supplire al crollo dell’Impero Romano, ne ha assorbito le strutture giuridiche e amministrative. I vescovi sono contemporaneamente autorità religiose e civili. E’ l’inizio della cristianità. Ingenuamente gran parte della gerarchia pensava di poter portare le masse al Vangelo semplicemente controllando la cultura e la società. E allora dirsi cristiani non solo era facile, ma conveniente. Ma come direbbe il buon Bonhoeffer “se la grazia non è a caro prezzo, non è Grazia evangelica”. Nessuno come lui ci ha mostrato come le terre battezzate da San Bonifacio abbiano prodotto prodigiose opere e simboli cristiani, mentre tenevano in seno i germi delle guerre di religione e del nazismo.
Per questo motivo, oggi vorrei invitarvi a ringraziare il Signore per questi fratelli e sorelle, che ci manda continuamente da lontano, perché nella difficoltà di vivere e pregare assieme, possiamo riconoscere e distinguere ciò che è cultura e tradizione umana e ciò che è Vangelo.
Vieni Spirito del Risorto ad illuminare le nostre menti ed i nostri cuori!
Pe. Marco