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Questo versetto evangelico, tratto da Mt 15,9 e proclamato in una delle Liturgie di questa settimana, mette ben in luce alcune discussioni di questi giorni, ennesima conseguenza del nostro beneamato virus. Il pretesto immediato di tali discussioni è la “grande” questione della cosiddetta “Messa di mezzanotte”. Dico subito che, per quel che ne so io, i Vescovi per ora hanno gestito la vicenda con molto equilibrio. D’altro canto, per l’insistenza con la quale ritorna nei titoli dei giornali e per il flusso di messaggi della cosiddetta “deep church”, sembrerebbe che la questione ha una rilevanza non indifferente. Tanto per non fare esempi, in un gruppo di preti del quale faccio parte, qualcuno ha cercato di avviare la querelle, anche se poi non ha avuto molto seguito.
Io consiglierei a tutti di andare a rileggere l’intero brano di Mt 15,1-9, dal quale ho tratto il titolo di questa riflessione. A noi, scarsi frequentatori delle Scritture, potrebbe apparire come lontano; infatti anche a me, per molto tempo, è sembrato trattare di una questione peregrina, tipicamente giudaica; anche perché nelle traduzioni normalmente veniva usato il termine aramaico “korban”.

In realtà Gesù affronta di petto la polemica farisaica riguardante un dettaglio della legge, per porre una questione fondamentale, ovvero la distinzione tra la Legge di JHWH e le leggi/tradizioni degli uomini. Certamente una tematica così densa ed accattivante meriterebbe ben più di questo semplice articolo. D’altro canto questo è uno snodo fondamentale per la Chiesa del Terzo Millennio. Anche Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” aveva detto chiaramente che, per questo mondo secolarizzato e indifferente, la Chiesa non doveva risparmiare sforzi per annunciare il nucleo del Vangelo e solo quello. Viceversa, come già sta avvenendo, nel marasma di devozioni e precetti accumulatisi lungo i secoli, ciascuno continuerà a ritagliarsi la “sua fede”, secondo i suoi gusti ed i suoi capricci.

Il caso della “Messa di mezzanotte” è emblematico ed il fatto stesso di essere qui a discuterne la dice lunga di quanto, anche noi, siamo dentro le contraddizioni farisaiche. Infatti, questa è una chiara tradizione umana. Infatti, se andassimo a rivederla, seppur per sommi capi, scopriremmo come una tradizione tipica dei cristiani di Roma sia diventata una tradizione universale. Questo procedimento non è in sé e per sé un problema, benché si potrebbe discutere su questa “romanizzazione” della Chiesa. Il problema sorge quando questa, come innumerevoli altre tradizioni, viene assunta come immutabile; quando per modificarla, o abbandonarla, se ne fa una questione di fede. Purtroppo è questo meccanismo psicologico e spirituale, che blocca ed appesantisce la Chiesa nella sua missione di annunciare il Vangelo.
Papa Francesco ha intuito molto bene questa perversione della Fede ed ha insistito molto nei primi anni del suo pontificato, per aiutarci a scardinarlo. Probabilmente si è un po’ rassegnato e non ne parla più molto, per non apparire noioso e ripetitivo. Di fatto, a parte qualche tentativo piuttosto superficiale e velleitario, perlomeno nella Diocesi di Milano siamo ben lontani dal cambiamento di mentalità sognato dal Papa. Ma questo cambiamento di mentalità passa esattamente dalla messa a fuoco di ciò che è l’essenziale della fede cristiana e ciò che sono le innumerevoli tradizioni, con le quali si è tentato di vivere la suddetta fede lungo la Storia.

Se non assumiamo la fatica di questo doloroso discernimento, i nostri Consigli pastorali continueranno a perdere tempo, per discutere su orari e numero delle Messe, piuttosto che garantire la processione di una sperduta Madonna sul cucuzzolo di una montagna. Mentre la massa dannata dei lontani viene abbandonata a sé stessa.
In realtà, il crogiolarci nelle innumerevoli obsolete tradizioni ci è molto comodo, perché permette di dire a noi stessi che, perlomeno, “continuiamo fondati sulla sana Tradizione cattolica” e non siamo in balia delle mutevoli mode della società umana. In realtà, invece, con questo espediente sfuggiamo abilmente al duro compito di collaborare nella costruzione del Regno di Dio. Come ben sappiamo, lo stesso cresce se agiamo nella Storia, animati da due principi molto semplici. Innanzitutto l’affermazione del primato assoluto del Padre, quale unico Signore della nostra vita. Pertanto solo a Lui ed al suo Vangelo riserviamo la nostra obbedienza incondizionata. Ogni altra autorità è legittima e degna di obbedienza nella misura in cui è sottoposta al suo Vangelo. Secondariamente, come conseguenza di questo primo principio, la radicale fraternità che lega tutti gli esseri umani, senza distinzioni di genere, di classe, di lingua, di nazionalità e quant’altro. Da qui l’impegno, come cristiani, nel rendere effettiva e concreta tale fraternità, lottando per rimuovere ogni preconcetto ed ogni ingiustizia che la vanifichi.

È evidente a tutti, che operare nel nostro quotidiano, guidati da queste prospettive, significa fare i conti ogni momento con la Croce, frutto delle strutture di peccato radicalmente contrarie a questi criteri.
Ecco allora che compito del cristiano, non è e non può essere, quello di salvaguardare le pietre e le pie devozioni del passato. Suo compito è impegnarsi in ogni presente storico animato dai due principi sopra citati, proteso nella costruzione di quel Regno, per il quale Gesù ha dato tutto sé stesso, fino a morire.

Pe. Marco