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La Liturgia della Parola di questa domenica ci offre questa sintesi del cap 10 degli Atti degli Apostoli, dopo avercelo fatto meditare dettagliatamente durante le Messe feriali di questa settimana. Questo capitolo è fondamentale per ricordarci della portata universale del cristianesimo e, conseguentemente, della dimensione universalistica della Chiesa di Gesù.
Premetto che non mi soffermerò nell’enunciare principi generali astratti, che potrebbero darci la solita impressione apparente di unità e di comunione.

Mi preme invece soffermarmi sulle modalità, attraverso le quali la Chiesa/Pietro giunse ad acquisire questo dato fondamentale per la nostra Fede.

Alla luce della sua fede radicalmente semitica, Pietro si lascia interpellare dalle vicende concrete della vita. Ed è così che risponde all’ appello di questo centurione romano militare pagano dell’impero oppressore. Queste caratteristiche, che ho voluto evidenziare, erano più che sufficienti per impedire a Pietro di far visita alla casa di Cornelio.

Facendolo, avrebbe attirato su di sè l’inevitabile riprovazione politica e religiosa. Infatti, oltre ad essere giudicato connivente con l’oppressore, si sarebbe reso impuro per essere entrato in un ambiente pagano, ovvero contaminato per le leggi giudaiche del puro/impuro. Ma Pietro sfida e va oltre queste leggi della sua comunità religiosa e culturale. Non in nome di un protagonismo adolescenziale, ma del puro e semplice Vangelo, che cerca di mettere in pratica.

Altro dettaglio da tener presente è che Pietro di per sé non sa perché lo ha mandato a chiamare. Eppure lui va, si mette in gioco; stando con Gesù ha capito ha capito almeno questo: la relazione, l’incontro personale con quel pagano, viene prima e supera qualsiasi legislazione, umana e religiosa. Ed è proprio grazie a questa radicale novità, introdotta da Gesù, che Pietro può vedere e riconoscere i frutti dello Spirito, operanti anche al di fuori del suo recinto religioso. Se Pietro fosse rimasto, ligio e fedele, alla Legge, la Storia dell’umanità sarebbe stata un’altra.

Infatti, è proprio dall’incontro con Cornelio e tutto il suo entourage, che Pietro è costretto a riconoscere che lo Spirito del Risorto non è monopolio della Chiesa nascente.

Certo, lui e l’intera Chiesa sono “segni e strumenti” nelle mani dello Spirito. Ma Lui, lo Spirito, è ben più libero e ben più grande. Come disse Gesù a Nicodemo “non si sa da dove viene e dove va’”. E così Pietro fa questa scoperta, che segnerà per sempre la vita della Chiesa, nonostante le sue ripetute ricadute nel giudaismo: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi Lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”.

Con buona pace di tutte le “chiese nazionali” e dei suprematisti bianchi occidentali, questi sono gli unici criteri di appartenenza alla Chiesa di Gesù: scegliere Lui come Signore delle nostre vite e cercare di praticare la Giustizia del suo Regno, il Regno di Dio.

Tutto il resto è cosa umana, troppo umana, che ha solo contribuito a moltiplicare le divisioni nel mondo cristiano.

Questa verità, che fondamenta tutta la vita cristiana, è un evidente smentita a tutti i nostri distinguo ed alle nostre barriere culturali, per le quali non riusciamo ancora a vivere una piena esperienza cristiana in questo tempo marcato da migrazioni epocali.

La mancata conversione dei nostri cuori all’incontro con il diverso e, soprattutto, la bieca sudditanza a leggi umane chiaramente immorali, ci impediscono di lasciarci arricchire da queste novità dello Spirito.

Il tutto nella paradossale condizione in cui, oltretutto, facciamo la quotidiana esperienza del progressivo morire, sia della nostra cultura, che del nostro modo d’intendere la vita ecclesiale.

Anche alla luce di questo insieme di considerazioni, mi preme rileggere in modo critico un leitmotiv, che è girato molto in questi giorni e ancora sta girando: i cristiani sono anche buoni cittadini e devono obbedire alle leggi dello Stato. Certamente il cristiano non parte da una pregiudiziale negativa ed ostile nei riguardi dello Stato, qualunque esso sia. Ma la sua obbedienza non può mai essere assoluta e acritica.

Perché, per il cristiano prima e più importante dello Stato c’è il Vangelo, alla luce del quale si devono giudicare lo Stato e le sue leggi.

Certamente il disorientamento e il sostanziale immobilismo dei cristiani, di fronte alle leggi razziali riapparse nelle “democrazie” occidentali, sono frutto anche della scarsa affinità dei cristiani con la Parola di Dio.
Il caso di Pietro presentatoci dalla prima lettura scuote profondamente la nostra fede ancora troppo legalista. Certamente, se conoscessimo un poco le vigorose riflessioni di Paolo sulla Legge, il Vangelo e la Libertà cristiana, avremmo, anche in Occidente, una Chiesa probabilmente più perseguitata, ma anche molto più credibile ed esemplare.

Pe. Marco