Contemplare per agire meglio
A margine di 2Pt 1,16-19: Eb 1,2b-9; Mt 17,1-9

 

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Essendo la Festa della Trasfigurazione del Signore, una festa tipicamente cristologica, giustamente è stata fatta la scelta di sostituire le letture della domenica con quelle della Trasfigurazione.

Il senso di questa celebrazione mi sembra ben riassunto dal primo versetto della prima lettura: “Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.”. Infatti, così come Gesù si è “trasfigurato” alla vista dei tre discepoli, giustamente per rafforzarne la fede in Lui, allo stesso modo, ogni anno, la Chiesa ci invita, sapientemente, a contemplare in profondità la natura, l’identità “di Colui nel Quale abbiamo creduto”; ben sapendo che lo sguardo del nostro cuore non è sempre così nitidamente e chiaramente fissato su di Lui.

Dentro l’economia dei Vangeli sinottici, seppur con sottolineature diverse, la narrazione di questo evento è una delle risposte alla domanda fondamentale, che attraversa gli stessi Vangeli: “Ma Chi è costui?”. Ancora una volta i Vangeli ci mostrano un Gesù totalmente estraneo ai culti misterici ed ai prodigi delle divinità pagane. Ovvero Lui non si trasfigura, per spiazzarci, per folgorarci e lasciarci tutti a bocca aperta; annullando, così, la nostra libertà, per lasciare a Lui il compito di salvarci nostro malgrado. Anzi, il percorso è esattamente inverso; ovvero, se vogliamo metterla sotto forma di domanda, la questione è: qual è il peso, l’importanza, che dobbiamo attribuire alle parole ed ai gesti di quest’uomo, che ci ha chiamati a sé? Che tipo d’investimento dobbiamo fare su di Lui? Eh sì, perché il personaggio “non va giù leggero”, come si dice in gergo. Infatti le Sue pretese sono assolute. La sue affermazioni, ma ancor più le sue scelte, non lasciano spazio a mediazioni, o ad accordi spuri. Il Suo modo di collocare i problemi e le loro soluzioni ti obbligano, tuo malgrado, a prendere una posizione. Dalle Sue argomentazioni sono state epurate tutte “le zone d’ombra e le terre di mezzo”, dove poter vivacchiare, attendendo l’evolversi degli eventi e delle situazioni.

Esattamente per l’assolutezza delle Sue pretese, i dodici si ritrovano coinvolti in un vortice di passioni e di dubbi, forse unico nella storia dell’umanità. E’ esattamente in questo difficile incontro/convivenza “tra Cielo e terra”, che Gesù conduce i tre discepoli più vicini a fare questa esperienza, che, ovviamente, non ha molto senso descrivere secondo i canoni scientifici. Lo scopo è quello di aiutarli “a vedere” Lui al di là dei sensi, con gli occhi della coscienza e della fede, per poter scorgere in Lui l’incarnazione del Verbo del Padre.  Ovviamente, chi riconosce in Gesù di Nazareth l’incarnazione del Verbo, non potrà più vivere come “prima” di questo riconoscimento; un fatto del genere non può che cambiarti la vita; nel senso che Lui non potrà più essere uno dei riferimenti della nostra vita, bensì il riferimento, il criterio di verità di ogni nostro pensare e, soprattutto, di ogni nostro agire.

Questa conseguenza pratica della Trasfigurazione di Gesù dovrebbe, da sola, spazzar via qualsiasi tentazione intimistica, nell’interpretazione di questo evento: se è bello stare con Gesù, vediamo di starci il più possibile; magari diamoci anche “delle strutture”, per stare meglio con Lui. In realtà lo stesso Gesù ha corretto questa tentazione nei tre discepoli, quando rifiuta la proposta di “montare tre tende”. Certamente qui non voglio addentrarmi in una discussione sul senso e il valore della vita contemplativa. D’altro canto dall’interazione dei vari momenti e dei vari simboli, legati alla Trasfigurazione, emerge con chiarezza che la contemplazione cristiana non può essere fine a sé stessa. La contemplazione deve essere sempre rigorosamente correlata con “l’azione”; ovviamente non qualsiasi azione, pur buona che sia, bensì l’azione come “sequela Christi”. Infatti, ciò che riassume e da senso al fede cristiana, è la scelta, libera e consapevole, di vivere come Gesù, perché in Lui abbiamo riconosciuto il compimento per la libertà umana.

Allora ben venga la contemplazione o qualsiasi forma di preghiera; ma solo potrò dire che quella specifica preghiera è cristiana, se porta i suoi seguaci ad incarnare, rivivere oggi le opzioni, libere e controcorrente, di Gesù.

 

Pe. Marco