La solennità di oggi potrebbe facilmente trarci in inganno, se la vediamo come una specie di digressione intellettuale e teologica sul grande mistero di Dio. E in effetti già il fatto di usare comunemente questo termine universale, Dio, per indicare il mistero trinitario, rivela quanto paganesimo persista all’interno del cristianesimo.
Le letture di questa domenica, invece, in particolare la seconda ed il Vangelo, ci mostrano come le tre Persone della Trinità agiscano in modo differenziato e complementare, benché tutte e tre siano presenti ed operanti nella nostra vita. In particolare, il Vangelo di Giovanni si sofferma sull’azione sinfonica della Trinità nella vita del discepolo; S. Paolo da parte sua nella seconda lettura ci mostra invece l’agire trinitario nella Chiesa.
A partire da questi due testi, la prima annotazione che mi viene fare è che il Mistero trinitario lo si coglie e lo si esperimenta nel farsi e nel divenire della vita cristiana. Non è una bella idea, un teorema complesso da sviscerare intellettualmente.
Ecco allora che, da questo punto di vista, possiamo meglio capire l’affermazione di Papa Francesco, secondo la quale la fede cristiana non può essere vissuta individualmente, illudendoci di costruire un rapporto individuale con Dio, separandoci dal resto del mondo e dell’umanità. Eventualmente questo tipo di esperienza ci porterà a relazionarci con gli idoli, che abbiamo nella nostra mente. Al contrario può sempre e solo essere vissuta dentro una comunità di credenti, pur con tutti i loro limiti e le loro fragilità. Ovviamente con questa affermazione non si vuole negare il fatto che, come in tutte le esperienze umane, anche questa della Trinità non abbia dei risvolti personali in ciascuno di noi. D’altro canto, come ben sappiamo dai testi biblici, noi siamo stati creati “ad immagine e somiglianza di Dio/Trinità “; cioè il nostro essere, la nostra natura umana più profonda è fondamentalmente “trinitaria”, ovvero è una natura fatta per vivere in relazione con gli altri, per vivere in comunione.
In America Latina, a partire da un’opera teologica di Leonardo Boff, si è soliti dire che la Trinità è la prima ed il modello per tutte le comunità. Non per caso, ma come frutto di una profonda intuizione teologica e spirituale, i primi cristiani hanno capito che, se volevano essere credibili nel loro testimoniare il Signore risorto, dovevano prendere sul serio la vita comunitaria. E così nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli vediamo il grande sforzo della Chiesa, guidata dagli Apostoli, di costruire delle relazioni tra i credenti ben al di là delle relazioni corrette, ma formali, di un qualsiasi raggruppamento umano. Invece le relazioni interne alla comunità cristiana devono essere specchio e riflesso del Vangelo. Esse devono manifestare il vero volto di Dio e il vero volto dell’uomo così come Gesù ce li ha rivelati. Ecco perché nella Chiesa non dovrebbero esistere delle relazioni meramente funzionali, o peggio ancora di tipo gerarchico e autoritario.
La Chiesa, Corpo di Cristo, può solo vivere relazioni di comunione e di fraternità, pur nella diversità dei carismi e dei ministeri, come ci dice Paolo nella Seconda lettura. Alla luce di queste verità dobbiamo leggere pertanto il tentativo della prima comunità cristiana di vivere la vita fraterna nella forma più radicale possibile.
Nonostante che quel tentativo sia rimasto più un ideale, che non la normale forma di vita dei cristiani, rimane perennemente valido il messaggio che esso contiene. I discepoli di Gesù, di tutte le epoche e di tutte le latitudini, saranno credibili nella misura in cui daranno vita tra di loro a delle relazioni autenticamente fraterne. Questa è l’immagine trinitaria, che può essere rivelata nella storia degli uomini.
Ecco allora che per celebrare realmente questa Solennità non occorre perdersi in riflessioni astruse e complicate sul Mistero di Dio, che tale comunque rimane. La forma più autentica di riflettere sul Mistero trinitario è quella di interrogarci sulla qualità di vita e di relazioni, che viviamo nelle nostre attuali comunità cristiane. In particolare dovremmo chiederci che tipo di appartenenza noi viviamo; ovvero, se e quanto ci sentiamo membri corresponsabili di una comunità di discepoli di Gesù di Nazareth? Nel caso, rispetto al modello trinitario, quali sono i limiti più vistosi, che noi intravvediamo nella nostra comunità cristiana? Ne va del rivelarsi della Trinità nella società in cui viviamo.
Pe. Marco