Sì era proprio ora e, confesso, sono contento di vivere questo momento storico, nel quale la Chiesa comincia a riconoscere che “stiamo insegnando a dire tante preghiere, ma non sappiamo insegnare a pregare”. Questa, a mio avviso, è l’affermazione riassuntiva del bellissimo articolo della prof.ssa Paola Bignardi, che a sua volta presenta l’ancor più interessante indagine della Fondazione Toniolo, Cerco, dunque credo?, Vita e Pensiero. Ovviamente quest’affermazione non è un pronunciamento ufficiale della Chiesa, bensì una risposta estrapolata dalla suddetta indagine. D’altro canto questo studio, appena pubblicato, è già diventato oggetto d’innumerevoli incontri e dibattiti.

Ma qual è la differenza tra “dire le preghiere” e “pregare”?

Va detto, che questa affermazione non va letta solo in riferimento alla Chiesa attuale, anzi! Basterebbe approfondire un poco la storia della spiritualità e della catechesi cristiana, per rendersi conto che questo impoverimento viene da lontano. Però, finché l’uomo e la donna occidentali erano naturalmente religiosi, vivevano naturalmente i loro giorni alla presenza del Creatore, le preghiere potevano essere il modo più semplice e più pratico di parlare con Lui.

Con l’avvento della Modernità prima, con l’Illuminismo poi, infine con i Maestri del sospetto, quelle formule e quelle tradizioni ripetute meccanicamente non sono state più sufficienti, per tenere in piedi una vita di Fede. Eh sì, perché la Fede cristiana non è innanzitutto la ripetizione e la proclamazione di Dogmi e preghiere, imparati meticolosamente ed usati magari nelle varie guerre di religione. Purtroppo questo è quanto c’è di umano, troppo umano nel cristianesimo.

Certo, noi cristiani adulti e maturi ci ripetiamo da secoli che le contraddizioni umane fanno parte dell’esperienza ecclesiale. Verissimo. Sta di fatto, che questo atteggiamento comodo e consolatorio alle nuove generazioni non va più bene. Indubbiamente sognare una Chiesa senza il peso dei limiti umani è mera utopia. E anche vero però, che convivere con le degenerazioni pagane del cristianesimo, senza nominarle e senza fare niente per superarle, è svuotare il cristianesimo di uno dei suoi tratti peculiari: la Liberazione portata da Gesù di Nazareth.

Ecco allora che la prof.ssa Bignardi evidenzia con molta saggezza, come dietro l’allontanamento dei giovani dalla Chiesa non c’è l’abbandono della Fede, bensì la ricerca delle sue radici più profonde.

Allora questa crisi, seppur inconsciamente, rivela che io non posso affidare la mia vita a delle formule, o a dei riti incomprensibili. Io ho bisogno di sapere di Chi posso fidarmi e a Chi posso affidarmi. Ciò vale tanto sul piano delle relazioni umane, quanto sul piano della Relazione ultima, quella fondamentale, sulla quale costruire tutta la mia vita.

Tutto ciò può avvenire solo dentro un’esperienza. Mentre vivo, imparo l’arte del fidarmi; scopro a chi dare fiducia, o meno; fino all’esperienza ultima e fondamentale: quella di vivere in relazione con il Signore e Creatore.

Qui a mio avviso sta il punto più difficile di questa nostra transizione epocale ed ecclesiale. Infatti, l‘esserci nascosti per secoli dietro la facile giustificazione che “ciò che riguarda la Fede non ha bisogno di essere capito, bensì creduto e ripetuto meticolosamente”, ebbene questo facile slogan, soprattutto nell’ambito liturgico, ha portato lungo i secoli ad una separazione abissale tra la vita reale e i momenti religiosi e spirituali. Da troppo tempo il cattolico medio, quando partecipa ad un momento di catechesi, o ad una liturgia, lo fa lasciando fuori dalla porta la sua vita reale e per quel momento pensa alle cose del cielo. Da qui a concludere che la religione e la Chiesa siano sostanzialmente inutili, il passo è pressoché obbligato.

Dovendo necessariamente concludere queste riflessioni, direi che questo cambiamento d’epoca obbliga i credenti a mettere in gioco la propria relazione esistenziale con Gesù, sempre ammesso che ci sia una relazione personale con Lui. Solo imparando a comunicare la nostra esperienza di Lui, potrà avvenire che altri, grandi o piccoli che siano, sentano il desiderio di ricercare qualcosa di simile per la propria vita. Analogamente quanto più la nostra vita personale e quella della Comunità cristiana saranno ispirate dal Vangelo, quanto più si ristabilirà il legame tra Gesù e la Chiesa; così anche i giovani scopriranno, che il luogo privilegiato dove incontrare Gesù e suo Padre è la Comunità dei suoi discepoli, la Chiesa.

                                                                                   Pe. Marco