Io mi chiamo Hane Cherif e sono nato nel 1964 in Senegal nella città di Kaolack. Sono il secondo di tre figli. Non ho mai studiato nella scuola pubblica. Ho fatto la scuola coranica. Fin da bambino ho sempre aiutato la mia famiglia nelle coltivazioni di arachidi, mais e altri ortaggi. A partire dall’adolescenza alternavo i lavori nei campi con piccole attività di vendita al dettaglio.

Nel 1990, volendo migliorare le mie condizioni di vita, ho deciso di venire in Italia, dove già viveva un mio cugino. Sono venuto con un normale volo aereo, passando per Parigi. Personalmente non ho avuto problemi per i documenti. Infatti, seguendo il percorso normale dell’epoca, ho avuto fin dall’inizio il permesso per lavoro subordinato. Inizialmente, per circa sei mesi, ho abitato a Napoli e vendevo borse ai mercati. Successivamente mi sono trasferito a Valgreghentino presso un altro cugino. Inizialmente ho trovato lavoro come saldatore a Lecco. Infine, dal 1992 al 2006 ho trovato lavoro presso una ditta che produceva dolci, lì mi sono trovato molto bene: ero responsabile di una squadra di lavoratori.

Nel 1994 sono tornato in Senegal per sposarmi; però ho deciso di lasciare la mia famiglia in Senegal, perché là sono le mie radici, e tornare da solo in Italia.

Nel 2006 avevo chiesto regolarmente l’aspettativa per assistere al quarto parto di mia moglie Fatou. Purtroppo, come spesso succede da noi in Senegal, al momento del parto la sala operatoria era fuori uso. Questo incidente ci obbligò a cercare un altro ospedale a circa km 70 di distanza: purtroppo era troppo tardi, anche perché da giorni era stato superato il termine dei nove mesi. Così, nel trambusto di questa emergenza, sono morti sia il bambino che mia moglie di 31 anni. Per me e per tutta la mia famiglia è stato un trauma grandissimo. In quelle condizioni non potevo ritornare subito in Italia, anche perché dovevo occuparmi degli altri tre bambini. Per questo motivo, scaduto il tempo della mi aspettativa, persi il lavoro.

Io ho tentato per circa due anni di avviare qualche attività per poter vivere in Senegal, ma le condizioni erano sempre molto precarie. Così, nel 2008 sono ritornato in Italia e fin verso la fine del 2013 ho tentato in tutti i modi di cercare un lavoro stabile e dignitoso. Sono andato fino in Sardegna a fare bancarelle; ma la crisi di quegli anni non mi ha mai offerto una prospettiva valida. Così, all’inizio del 2014 sono ritornato in Senegal, con la prospettiva di rimanerci definitivamente. Nel frattempo mi sono risposato e la mia famiglia è cresciuta. L’anno scorso, quando la mia seconda moglie era incinta, di nuovo sono ritornato in Italia, perché era difficile per me rimanere in Senegal e non poter dare il necessario ai miei figli.

Sono venuto con un normale volo aereo, perché avevo già un permesso per tempo indeterminato. Alcuni amici senegalesi mi hanno aiutato a sistemarmi: inizialmente sono stato ospitato a casa di un mio amico a San Giovanni di Lecco, poi don Marco mi ha ospitato nella Casa Parrocchiale di Laorca mentre sistemavo i documenti e cercavo lavoro. Per tre mesi sono andato avanti e indietro da Lecco a Trezzano sul Naviglio per un lavoro a tempo determinato e successivamente ho avuto un contratto a tempo determinato in un bar a Bellagio.

Attualmente vivo con altri due senegalesi in un appartamento di Valmadrera, ma è una situazione molto precaria, anche perché il proprietario non vuole darci la residenza. Purtroppo, in questo momento per noi migranti il problema più grande è quello della casa. Infatti, oltre agli affitti troppo alti per i nostri salari, soffriamo per il razzismo strisciante. Di fatto, molti proprietari preferiscono lasciare le loro case vuote, piuttosto che affittarle ad un migrante. Capisco che qualcuno di noi non si è comportato bene, ma io non ho mai avuto problemi ed ho sempre lasciato le case in ordine, dove ho vissuto. Che colpa ne ho se altri si sono comportati male?