Sono Chiara, ho 24 anni, sono italiana. Vivo in Brianza da tutta la vita con i miei genitori, i miei quattro fratelli e la nonna, l’unica che ho e che ho mai conosciuto.

I miei genitori hanno 50 e 57anni, sono della Repubblica democratica del Congo.

Anche se ormai hanno vissuto più anni della loro vita in Italia che in Congo, le loro radici sono ancora così solide, così ingombranti.

Quando dico di essere brianzola i miei genitori, così come i loro connazionali, ridono come se avessi appena raccontato una barzelletta. Rispondono “Hai mai visto un brianzolo nero?”, vorrei rispondergli “ognuno dei miei fratelli, i miei compagni di classe, il mio vicino.” Non rispondo, mi innervosisco.

Mi innervosisco perché non mi capacito di come non si rendano conto che così come per loro il Congo è casa, il luogo in cui sono nati e cresciuti, il luogo in cui i loro genitori hanno costruito una famiglia, dei ricordi, il luogo in cui vorranno tornare, così è per me l’Italia: il luogo in cui sono nata e cresciuta, dove i miei genitori hanno costruito la nostra famiglia e il luogo in cui vorrò tornare se mai le condizioni di vita di questo Paese, il mio Paese, non mi permetteranno di costruire un futuro solido e sicuro per me e i miei cari.

Un “immigrat* di seconda generazione” affronta tante battaglie e quella più dura è dentro casa, con i propri genitori, data dal divario culturale che si fonde a quello generazionale. Inizia tutto in adolescenza, o almeno lo è stato per noi. Un* ragazzin* adolescente che decide di colmare quel doppio divario è un* ragazzin* coraggios*. Colmare il divario per me ha voluto dire accorciare le distanze, prendersi per mano e camminare insieme. É faticoso, ma quando si cammina insieme è talmente bello e talmente prezioso.

Le battaglie fuori casa invece sono battaglie che ogni essere umano si trova ad affrontare, perché sì il razzismo esiste ma non più dell’omofobia o della misoginia o di qualsiasi altra paura che l’essere umano riesce a trasformare in odio.

Non so bene cosa ci si aspetti che dica in queste poche righe o perché sia stata data a me la possibilità di scriverle, ma mi sento di dire che appartenere a un luogo è una delle ricchezze più grandi che possiamo avere. Avere delle radici ci permette di crescere, di esplorare, di accogliere. Riconoscere le radici dell’altro ci permette di arricchirci, di amarlo. Amare è sicuramente Il Dono più grande che ci è stato fatto.