
Sollecitato da più parti ad esprimere un parere sul nuovo Papa, provo a riunire qui alcune intuizioni embrionali.
Come la stragrande maggioranza di voi, anch’io sono rimasto spiazzato in un primo momento nell’udire il nome del nuovo Papa. A parte il caso Ratzinger, è pur vero che questa è la prima reazione per la maggioranza dei Papi, a tal punto da rendere ben concreto il motto secondo il quale “chi entra Papa esce Cardinale”. Però, nel caso di Papa Francesco ricordo bene, che non appena iniziò a parlare, immediatamente percepii che era stato scelto un profeta, uno che avrebbe scosso le coscienze con la radicalità delle sue scelte e la forza simbolica dei suoi gesti. Insomma uno, che nel suo sguardo ecclesiale e nel modo di dialogare con il mondo sentivo molto, sin troppo, vicino a me. Così accadde, che nei primi quattro anni del suo pontificato, che furono anche gli ultimi della mia missione brasiliana, quasi non mi sembrava vero di fare prediche, o conferenze, semplicemente ripetendo quanto lui andava sfornando senza misura. Non avevo bisogno di capire; semmai dovevo far capire alla gente, che quell’incomprensibile novità era semplicemente il ritorno al Vangelo nella sua radicalità.
Devo dire invece, che nel caso di Leone XIV, anche dopo il suo primo discorso, è rimasto in me quel senso di smarrimento ed un’interrogazione di fondo, che mi obbliga ad un approccio più pacato e riflessivo; mi obbliga a prendermi un tempo, per poterlo capire e valutare nella sostanza delle sue scelte.
In tutto ciò, però, alcuni segnali sono più che promettenti. Io non mi soffermerei eccessivamente sulla ripetizione del termine “Pace” nel primo discorso, per non banalizzarlo come è avvenuto nel caso della “Misericordia” di Francesco. Mi pare, che nella Guerra Mondiale a pezzi in cui ci troviamo, il riferimento fosse scontato. Così come il resto del discorso non ha avuto grandi guizzi originali e personali. Invece, mi pare abbia cercato di riprendere i principali titoli del pontificato di Francesco: la sinodalità, l’evangelizzazione e la periferia/i poveri. In questo senso, non può non richiamare l’attenzione la sua scelta di parlare in spagnolo (non in inglese…), per salutare la “sua” Diocesi peruviana; lui, che è nato nel cuore del Primo Mondo.
Nell’ordinarietà di quel discorso ho sentito soprattutto la preoccupazione di non tradire Francesco, pur non volendo essere semplicemente il suo prolungamento. Invece, se mi è permesso un parallelismo, vedo in Papa Leone una “reincarnazione” aggiornata di Paolo VI: fedelissimo a Papa Giovanni ed al “suo” Concilio, chiamato non senza traumi “a mettere a terra” quelle intuizioni ancora in gran parte irrealizzate. Anche dopo il vulcano Francesco, quasi necessariamente si doveva optare per un suo figlio spirituale, che fosse l’interprete fedele del suo carisma incontenibile.
Una chiave decisiva della sua elezione e del suo pontificato sono le poche parole dette a braccio in inglese, all’inizio della prima Messa con i Cardinali venerdì mattina. Se Francesco fu eletto, suo malgrado, per riformare una Curia fuori controllo fin dalla fine degli anni ’90, Leone è stato scelto per ricucire i malumori e le spaccature, prodotte dalle accelerazioni evangeliche di Francesco. Questi malumori e queste spaccature, va detto, attraversano tutto il popolo dei cattolici praticanti.
Tutti i dati biografici indicano Prevost come un mediatore, un tessitore nato. Pur essendo una caratteristica che non mi appartiene, riconosco che anche questo carisma serve alla Chiesa. L’auspicio, squisitamente evangelico, è che questa preoccupazione per un’unità formale non sacrifichi eccessivamente il Vangelo, che è rivoluzionario per natura. Gesù non asseconda mai la paura dei discepoli, neanche di fronte al loro legittimo sconcerto per la sua Risurrezione. Invece, li invita e li aiuta a non aver paura, perché lo ascoltino e lo seguano comunque; anche con il fiato corto e le gambe tremanti. Questa è la Fede in Lui! Altrimenti diventa ideologia: adesione a dogmi ed enunciati, dei quali magari non conosciamo neanche il contenuto.
In questo senso v’invito a cercare un articolo di Padre Spadaro, durante i giorni delle Congregazioni generali. Il nuovo Papa, diceva, se non vuole tradire il Vangelo, dovrà essere un riconciliatore delle diversità, più che il difensore di un’apparente unità.
Per il resto Papa Leone XIV è una miniera tutta da scoprire. Sollecitato dalle situazioni e dagli eventi, molto dipenderà da quale perla, o quale pietra, userà per affrontare tali situazioni.
E qui credo si celi il paradosso, sul quale saremo costantemente invitati a rileggere questo pontificato. Quest’uomo, che porta in sé un patrimonio multietnico straordinario (italiano, francese, spagnolo…), che incarna l’anima buona degli USA, si presenta al mondo come il primo Papa dell’impero americano. Pur essendo iscritto nei registri del Partito Repubblicano, è già stato definito dai suoi leader come un comunista anti Trump.
Pur avendo una formazione molto asettica e formale (matematica e Diritto Canonico), ha scelto liberamente d’imparare la pastorale tra i poveri in Perù.
La scelta del nome apparentemente ritorna nell’alveo di una sequenza secolare; ma l’inevitabile rimando a Leone XIII potrebbe presagire ad un più che auspicabile aggiornamento della Dottrina Sociale della Chiesa.
Pur avendo scelto di presentarsi al mondo secondo i canoni classici del cerimoniale papale, i tic e le inflessioni del volto rivelavano un mare emotivo in grande agitazione.
Mi auguro, che in quello che appare come un contrasto latente tra le istanze del cuore e quelle della ragione, Papa Leone sappia armonizzarle seguendo il principio agostiniano del “ordo amoris”, ben sapendo che sempre per Agostino “la misura dell’Amore è amare senza misura”…
Pe. Marco