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La prospettiva da cui parto è esattamente quella della liturgia, che contemplando la “Divina Maternità di Maria”. Certamente il titolo liturgico vuole farci ricordare ogni anno il fatto che quella maternità fu al di sopra e al di là della norma, non fu una maternità qualsiasi; infatti lo stesso Verbo del Padre è entrato nella Storia con la nostra natura umana. Non che JHWH fosse lontano, o assente dalla Storia, anzi “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese” Es 3,7-8. Ma, mentre prima attraverso il suo Spirito illuminava il cuore degli uomini a loro insaputa, ora Lui stesso ci parla nella storia di un uomo, Gesù di Nazareth.

La Festa di questa ultima domenica d’Avvento vuole ricordarci esattamente questa sorpresa divina: Colui che è stato generato da Maria non è semplicemente un uomo; in Lui è il Verbo di Dio, che opera e parla. E fino a qui stiamo semplicemente ripetendo quanto, con fatica, definì il Concilio di Efeso.

Mi sembra invece che, per noi oggi, sia interessante meditare sugli atteggiamenti di Maria di fronte al dispiegarsi in lei di questo evento. E le reazioni di Maria oscillano tra la paura iniziale “ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo” e il dubbio, la perplessità “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”; tutti segni, questi, dell’impotenza e dell’irriducibile distanza tra noi uomini ed il Mistero di Dio. Questa realtà così presente nella sua vita, come nella vita di tutto il suo popolo, rimane comunque “altro” irraggiungibile e incomprensibile nel suo agire e nel suo essere più profondo. Eppure JHWH si rende presente, così ingombrantemente presente, che lei non può non fare i conti con Lui. Questa vita, che lei porta in grembo e che dipende radicalmente da lei, in realtà va’ oltre lei, la sovrasta e la trascina, suo malgrado, in una storia più grande di lei. Eppure lei non si scoraggia, non va’ in depressione; neanche la rifiuta, o erige muri per contrastarla. Dopo aver espresso i suoi sentimenti e le sue perplessità, la accoglie e se ne prende cura, come può, come ne è capace, confidando più nella forza della Vita, che in sé stessa, o in Giuseppe.

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Eppure questo Mistero, così grande e travolgente, che Maria ha forse vissuto nella sua forma più alta ed estrema, in realtà, a ben guardare, non è altro che una delle espressioni di quello che è il nostro rapporto umano con la Vita. Al di là delle nostre conquiste tecnologiche, o della nostra potenza economica, la Vita è più grande e irraggiungibile, sfuggente ad ogni nostra azione di controllo, perché la Vita è la stessa Trinità “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Per questo motivo è un falso problema chiedersi se è la mancanza di fede che ha fatto perdere il rispetto verso la Vita, o se le violenze rivolte verso la Vita hanno oscurato il Cielo sopra di noi, hanno allontanato Dio dall’orizzonte dell’uomo occidentale.

L’uomo biblico aveva già risolto questo falso dilemma qualche millennio fa, quando ha riservato al generare, al dare la vita, un valore sacramentale. Infatti per la Bibbia l’atto generativo è il “luogo” dove Cielo e terra s’incontrano, dove l’umano interseca il Divino, dove JHWH benedice l’uomo e la donna e li rende partecipi della Sua forza creatrice. Da quel momento in poi, dove c’è Vita, soprattutto Vita umana, questa Benedizione, questa Presenza del Mistero si fa presente. E allora noi umani, generati da questo Mistero, non possiamo mai diventarne padroni, o erigerci a signori, nel giudicare se una Vita vale più di un’altra, o se una Vita può vantare più diritti di un’altra. Fin dalle prima pagine bibliche risuona impetuoso quell’ordine: “Ma il Signore gli disse: “Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!” Gen 4,15, pronunciato per difendere un assassino.

Ma questa è la realtà della nostra fede. Di fronte al dispiegarsi imprevedibile della Vita, l’unico nostro atteggiamento possibile è quello di Maria: d’inquietudine e dubbio, per poi mettersi rispettosamente a servizio della Vita, che ci viene incontro “nell’altro”, che ci sorprende, ci scombussola: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.

Come c’insegna M. Delbrel possiamo solo inginocchiarci e lavare i piedi delle Vite che incrociamo, anche se siamo tentati di schivarle, di girare la faccia “altrove”; magari anche con il pretesto che stiamo correndo per qualche altra vita, che ci siamo costruiti su misura.

Ecco, questa capacità di Maria di lasciarsi sorprendere e di arrendersi di fronte all’apparire della Vita di Dio è certamente ciò che più manca al mondo occidentale, ivi incluso il cattolicesimo dell’uomo comune. Anzi, forse il fatto di aver scisso per secoli la fede in Dio dal rispetto/servizio verso la Vita ha portato al progressivo oscuramento del senso di Dio nella coscienza comune. Quanta Vita violentata e massacrata, per poi metterci a posto la coscienza combattendo a ferro e fuoco l’aborto! Non che questa battaglia non fosse legittima, anzi! Però in nome di quale Vangelo poteva essere separata questa battaglia da quelle che si sarebbero dovute combattere per difendere altre Vite, non meno degne e non meno importanti? Eppure abbiamo scomodato la teologia, la spiritualità, il diritto canonico e quant’altro per giustificare le nostre schizzofrenie spirituali. Anche l’ultimo sondaggio di questi giorni ci dice che anche il nostro Papa superstar è in declino, perché ostinatamente non accetta di selezionare la Vita, di catalogarla, di creare delle gerarchie e da vero “servo servorum Dei” si mette a servizio di tutti i Figli di Dio, a partire dai più poveri e massacrati.

Marána tha, vieni Signore Gesù, non stancarti di sorprenderci, nonostante noi sembriamo sempre meno propensi ad accogliere le tue sortite.

 

Pe. Marco